domenica 15 giugno 2008
Lo stress è il sale della vita
Affermava Hans Seyle: «Lo stress è il sale della vita». Infatti egli sosteneva che, poiché lo stress consegue ad ogni tipo di attività, potremmo evitarlo solo prendendoci il lusso di non fare più assolutamente nulla. Ma chi godrebbe di vivere senza slanci, senza rischi e senza le soddisfazioni che derivano dalla propria creatività? Oltre tutto l'attività, di per se stessa contribuisce a 'mantenere in buona forma il meccanismo dello stress'. Tutti sappiamo che vi sono disturbi mentali perfettamente guaribili con terapie fondate sul lavoro e l'attività.
Stress o non stress?
Lo stress: il denominatore comune che lega tutti gli uomini moderni, indipendentemente dal ruolo o dalla posizione. È stressato tanto l'operaio alla catena di montaggio, quanto il dirigente durante una riunione coi sindacati. C'è stress tanto nel fare la coda in macchina, quanto nel prepararsi ad una festa importante o nel pensare alle vacanze che stanno per finire.
Questo fondamentale aspetto della nostra vita quotidiana ha persino trovato alcuni scienziati disposti ad interessarsene a tempo pieno; tra questi, il dottor Hans Seyle, un canadese che, già dal 1930, ha cercato di quantizzare il fenomeno, giungendo sino alla definizione di una sindrome da adattamento. È questo l'insieme delle reazioni che l'organismo mette in atto per adeguarsi alle mutate, esigenze ambientali. noto, ad esempio, che per essere stressante un evento deve verificarsi in un lasso relativamente breve di tempo oppure essere pericolosamente ripetitivo; in questo caso, la produzione di adrenalina e di ormoni steroidei, l'aumentata disponibilità di zucchero nel sangue forniscono quel substrato energetico necessario all'organismo per far fronte alla nuova situazione.
Uno degli aspetti caratteristici delle teorie di Seyle è che, entro certi limiti, lo stress fa bene: tiene infatti, per così dire, allenato il nostro essere a reagire agli eventi, siano essi positivi o negativi, felici o infelici. Insomma, meglio una sana, anche se piccola, dose di stress quotidiano piuttosto che una vita monotona e apatica.
Questo fondamentale aspetto della nostra vita quotidiana ha persino trovato alcuni scienziati disposti ad interessarsene a tempo pieno; tra questi, il dottor Hans Seyle, un canadese che, già dal 1930, ha cercato di quantizzare il fenomeno, giungendo sino alla definizione di una sindrome da adattamento. È questo l'insieme delle reazioni che l'organismo mette in atto per adeguarsi alle mutate, esigenze ambientali. noto, ad esempio, che per essere stressante un evento deve verificarsi in un lasso relativamente breve di tempo oppure essere pericolosamente ripetitivo; in questo caso, la produzione di adrenalina e di ormoni steroidei, l'aumentata disponibilità di zucchero nel sangue forniscono quel substrato energetico necessario all'organismo per far fronte alla nuova situazione.
Uno degli aspetti caratteristici delle teorie di Seyle è che, entro certi limiti, lo stress fa bene: tiene infatti, per così dire, allenato il nostro essere a reagire agli eventi, siano essi positivi o negativi, felici o infelici. Insomma, meglio una sana, anche se piccola, dose di stress quotidiano piuttosto che una vita monotona e apatica.
Perché si ingrassa
Generalmente si ingrassa perché ci si nutre molto più di quanto si consuma. E sin qui siamo tutti d'accordo. Noi però non ci vogliamo fermare a questa causa così chiara e lampante, ma anche così ovvia dal punto di vista fisiologico. Ci sembrerebbe di offendere e di contrastare il principio ideologico dal quale siamo partiti e con il quale abbiamo camminato sin qui: l'uomo non è solo un fatto chimico- biologico. Egli è molto di più. È corpo, ma è anche mente, anzi egli è mente e corpo insieme.
E dunque se c'è una disfunzione organica per la quale egli ingrassa al di là della norma, se tale disfunzione è addirittura provocata da una sua decisione personale, cioè se egli decide di lasciarsi condizionare dalla sua stessa gola, allora il problema è sicuramente fisiologico, ma del tutto dipendente dalla psicologia dell'obeso.
Le cause vere che portano a stranutrirsi sono molteplici. Per esempio c'è chi ingerisce e cibo per ingoiare il nutrimento dei desideri e degli affetti mai soddisfatti. 9 come se dicesse a se stesso e al cibo: «L'affetto che non ricevo dal mondo, voglio che mi riempia attraverso la bocca nella misura che io decido, cioè nella quantità che io sento di aver bisogno di ricevere». Il cibo per costui diviene una sorta di nutrimento affettivo. E più sente la carenza affettiva, più mangia. Più mangia e meno si sente amato. In questo modo si trova imprigionato dal suo stesso grasso. C'è chi si sente vuoto. Cioè senza ideali, scopi di vita, depresso. Anche costui si riempie di cibo come se tendesse a riempire il vuoto opprimente che lo lascia squallidamente insoddisfatto.
La staticità e anche l'ottusità mentale, sono caratteristiche dell'obeso: il vantaggio (si fa per dire) che egli ne ricava è quello di mostrarsi fermo, incapace di comprendere e di volere, persino di muoversi e quindi di vivere. Immagina così di riuscire a suscitare e ad ottenere compassione e perciò stesso amore.
E dunque se c'è una disfunzione organica per la quale egli ingrassa al di là della norma, se tale disfunzione è addirittura provocata da una sua decisione personale, cioè se egli decide di lasciarsi condizionare dalla sua stessa gola, allora il problema è sicuramente fisiologico, ma del tutto dipendente dalla psicologia dell'obeso.
Le cause vere che portano a stranutrirsi sono molteplici. Per esempio c'è chi ingerisce e cibo per ingoiare il nutrimento dei desideri e degli affetti mai soddisfatti. 9 come se dicesse a se stesso e al cibo: «L'affetto che non ricevo dal mondo, voglio che mi riempia attraverso la bocca nella misura che io decido, cioè nella quantità che io sento di aver bisogno di ricevere». Il cibo per costui diviene una sorta di nutrimento affettivo. E più sente la carenza affettiva, più mangia. Più mangia e meno si sente amato. In questo modo si trova imprigionato dal suo stesso grasso. C'è chi si sente vuoto. Cioè senza ideali, scopi di vita, depresso. Anche costui si riempie di cibo come se tendesse a riempire il vuoto opprimente che lo lascia squallidamente insoddisfatto.
La staticità e anche l'ottusità mentale, sono caratteristiche dell'obeso: il vantaggio (si fa per dire) che egli ne ricava è quello di mostrarsi fermo, incapace di comprendere e di volere, persino di muoversi e quindi di vivere. Immagina così di riuscire a suscitare e ad ottenere compassione e perciò stesso amore.
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Qual è la migliore dieta forma?
Qual è la migliore dieta forma?
Indubbiamente quella che va alla radice dell'obesità affrontando i problemi psicologici che costringono l'obeso a nutrirsi più del necessario. Le frustrazioni della vita, le soddisfazioni insoddisfacenti, di lavoro, di studio, di famiglia, tendono a far cercare compensazioni gratificanti nell'abbondanza di cibo e, soprattutto, di dolciumi, che ricordano le desiderate e ormai perse dolcezze affettive infantili. È sano chi mangia tutto, ma con garbo. Cioè chi stabilisce tra sé e sé un armonico passaggio di entrate e uscite affettivo-biologiche.
Indubbiamente quella che va alla radice dell'obesità affrontando i problemi psicologici che costringono l'obeso a nutrirsi più del necessario. Le frustrazioni della vita, le soddisfazioni insoddisfacenti, di lavoro, di studio, di famiglia, tendono a far cercare compensazioni gratificanti nell'abbondanza di cibo e, soprattutto, di dolciumi, che ricordano le desiderate e ormai perse dolcezze affettive infantili. È sano chi mangia tutto, ma con garbo. Cioè chi stabilisce tra sé e sé un armonico passaggio di entrate e uscite affettivo-biologiche.
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dieta
sabato 14 giugno 2008
Non è obbligatorio sposarsi
Ancor oggi è abbastanza comune l'idea che chi non si sposa, o almeno non si accoppia, vada considerato con un certo sospetto: può essere un nevrotico, un misantropo, un buono a nulla, un essere spregevole, un incapace di amore e di nobili sentimenti e via di questo passo. In realtà costui può invece aver fatto le sue scelte personali molto ponderatamente: può darsi che preferisca stare solo anziché con una compagna che non lo soddisfi sino in fondo: che male c'è se non l'ha trovata? Può essere che non l'abbia neppure cercata perché, tutto sommato, preferisce,
all'accoppiamento, la sua libertà, i suoi hobby, i suoi impegni scientifici e culturali. Insomma può stare benissimo da solo, anzi può realizzarsi molto meglio da solo: perché sindacarlo?
all'accoppiamento, la sua libertà, i suoi hobby, i suoi impegni scientifici e culturali. Insomma può stare benissimo da solo, anzi può realizzarsi molto meglio da solo: perché sindacarlo?
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sposarsi
Il coraggio non è incoscienza
Che cos'è il coraggio?
Certamente il coraggio non è incoscienza, (che può anche essere frutto di distrazione) o distrazione (che può derivare appunto dall'incoscienza) e neppure è noncuranza di leggi e di regolamenti sottovalutati, proprio perché non si conoscono i rischi dai quali essi ci proteggono. Coraggio non è sinonimo di dabbenaggine, ingenuità, sfacciataggine, esibizione, rischio finalizzato allo stesso rischio in sé e per sé.
Il coraggio è piuttosto la capacità di rischiare, in prima persona, anche la vita per difendere e valorizzare beni umani e sociali giudicati superiori a se stessi. La stessa azione, quindi, può essere coraggiosa, avventata, incosciente, a seconda dell'obiettivo che ci si propone. Soprattutto possiamo parlare di coraggio, quando l'azione è sorretta e motivata da forza d'animo, da onestà, da desideri sani di convivenza e di amore per l'umanità.
Certamente il coraggio non è incoscienza, (che può anche essere frutto di distrazione) o distrazione (che può derivare appunto dall'incoscienza) e neppure è noncuranza di leggi e di regolamenti sottovalutati, proprio perché non si conoscono i rischi dai quali essi ci proteggono. Coraggio non è sinonimo di dabbenaggine, ingenuità, sfacciataggine, esibizione, rischio finalizzato allo stesso rischio in sé e per sé.
Il coraggio è piuttosto la capacità di rischiare, in prima persona, anche la vita per difendere e valorizzare beni umani e sociali giudicati superiori a se stessi. La stessa azione, quindi, può essere coraggiosa, avventata, incosciente, a seconda dell'obiettivo che ci si propone. Soprattutto possiamo parlare di coraggio, quando l'azione è sorretta e motivata da forza d'animo, da onestà, da desideri sani di convivenza e di amore per l'umanità.
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