sabato 13 febbraio 2010

cardiomiopatia ipertrofica - malattia del miocardio

La cardiomiopatia ipertrofica è una una malattia del miocardio (il tessuto muscolare proprio del cuore) caratterizzata da un ispessimento delle pareti cardiache (cardiomiopatia= malattia del muscolo cardiaco, ipertrofica = aumento di spessore delle pareti cardiache), senza alcuna causa evidente. È una malattia genetica, a trasmissione familiare, determinata da mutazioni su geni che codificano per le proteine del sarcomero, l'unità contrattile del miocardio.

Il decorso della malattia è molto variabile. La maggior parte dei pazienti ha un decorso favorevole in assenza di sintomi o complicanze importanti. Una minoranza può sviluppare sintomi di insufficienza cardiaca (dispnea che si presenta dopo sforzi di grado variabile) od aritmie potenzialmente pericolose per la vita. I sintomi, ed in particolare le aritmie, possono svilupparsi indipendentemente dall'età, ed anche in pazienti molto giovani. La cardiomiopatia ipertrofica, essendo spesso presente in assenza di sintomi, è anche la causa più frequente di aritmie pericolose per la vita negli atleti

cardiomiopatia dilatativa - miocardiopatia dilatativa

In campo medico per cardiomiopatia dilatativa (detta anche miocardiopatia dilatativa e in passato miocardiopatia congestizia) si intende una fra le più comuni forme di disordine del miocardio. Tale condizione si manifesta quando il ventricolo sinistro, e spesso anche quello destro, risultano simmetricamente dilatati.

La cardiomiopatia dilatativa può essere secondaria a numerose condizioni, quali altre patologie (ipertensione arteriosa, cardiopatia ischemica), danno da agenti farmacologici (chemioterapia) o sostanze tossiche (ad esempio l'etanolo). Tuttavia, in moltissimi casi, non è possibile riconosce una causa evidente. In questo caso si definisce "cardiomipatia dilatativa idiopatica". Quest'ultima forma deriva da alterazioni muscolari intrinseche al muscolo cardiaco, geneticamente determinate (in maniera sporadica o con trasmissione familiare, coinvolgenti il solo muscolo cardiaco o anche altri tessuti muscolari dell'organismo). Diversamente dalla cardiomiopatia ipertrofica i geni coinvolti corrispondono a proteine del citoscheletro e non del sarcomero.

Da recenti studi, è emerso che i soggetti che presentano un numero estremamente frequente di extrasistole (molte migliaia al giorno) possono sviluppare, a seguito di ciò, una forma di cardiomiopatia dilatativa. In questi casi, riducendo o annullando il numero delle extrasistole (ad esempio tramite ablazione radioelettrica) si assiste, nella quasi totalità dei casi, a una progressiva regressione della cardiomiopatia.

cardiomiopatie - malattie del miocardio

Le cardiomiopatie costituiscono un gruppo eterogeneo di malattie del miocardio a eziologia frequentemente genetica, che attraverso lo sviluppo di disfunzioni elettriche e/o meccaniche a carico del muscolo cardiaco determinano spesso (ma non sempre) l'instaurarsi di fenomeni di ipertrofia o dilatazione delle camere ventricolari. Tali fenomeni in ultima analisi hanno come esito lo scompenso cardiaco o la morte improvvisa del paziente. Le cardiomiopatie non comprendono invece tutte quelle manifestazioni di tipo dilatativo o ipertrofico che derivano da patologie come l'ipertensione (sistemica o polmonare), le coronaropatie, i difetti valvolari o le malattie del pericardio.

blocco di branca - impulso elettrico del cuore

Il blocco di branca è un'anomalia di conduzione dell'impulso elettrico del cuore, caratterizzata dall'impossibilità da parte delle due branche del fascio di His di trasmettere simultaneamente ai due ventricoli l'impulso originatosi negli atri o nella giunzione atrio-ventricolare.

In condizioni normali, la branca destra e la branca sinistra del fascio di His conducono l'impulso contemporaneamente alle loro suddivisioni fino alla rete di fibre del Purkinje, distribuendolo ai due ventricoli. Quando in una delle due branche la trasmissione dell'impulso è ritardata o impedita, l'impulso attiva prima la contrazione in un solo ventricolo; poi, attraverso il setto interventricolare, l'impulso si propaga all'altro. In questo modo si realizza uno sfasamento nella depolarizzazione dei due ventricoli, che è visibile all'elettrocardiogramma come ritardo di attivazione di un ventricolo rispetto all'altro e, di conseguenza, come allungamento dell'intervallo QRS.

aterosclerosi - malattia infiammatoria cronica delle arterie

L'aterosclerosi è una malattia infiammatoria cronica delle arterie di grande e medio calibro che si instaura a causa dei fattori di rischio cardiovascolare: fumo, ipercolesterolemia, diabete mellito, ipertensione, obesità, iperomocisteinemia; si sospetta che possano esservi anche altre cause, in particolare di natura infettiva e immunologica. Anatomicamente, la lesione caratteristica dell'aterosclerosi è l'ateroma o placca aterosclerotica, ossia un ispessimento dell'intima (lo strato più interno delle arterie, che è rivestito dall'endotelio ed è in diretto contatto con il sangue) delle arterie dovuto principalmente all'accumulo di materiale lipidico (grasso) e a proliferazione del tessuto connettivo.

Clinicamente l'aterosclerosi può essere asintomatica oppure manifestarsi, di solito dai 40-50 anni in su, con fenomeni ischemici acuti o cronici, che colpiscono principalmente cuore, encefalo, arti inferiori e intestino.

Il termine aterosclerosi è stato proposto da Marchand nel 1904 per sottolineare la presenza dell' ateroma (dal greco athere, che significa "pappa", ad indicare il materiale grasso, poltaceo, contenuto nelle placche). Le lesioni, che hanno come caratteristica specifica la componente lipidica più o meno abbondante, si evolvono con il tempo: iniziano nell'infanzia come strie lipidiche (a carattere reversibile) e tendono a divenire vere e proprie placche aterosclerotiche, che nelle fasi avanzate possono restringere (stenosi) il lume arterioso oppure ulcerarsi e complicarsi con una trombosi sovrapposta, che può portare ad una occlusione dell'arteria.

Per arteriosclerosi si intende invece un indurimento (sclerosi) della parete arteriosa che compare con il progredire dell'età. Questo indurimento arterioso è la conseguenza dell'accumulo di tessuto connettivale fibroso a scapito della componente elastica.

Arresto cardiaco

Può originare da alterazioni di varia natura dell'impulso elettrico, o da ostacoli di natura meccanica. Sia nel caso che la genesi sia primitivamente elettrica o meccanica, si determina l'inefficacia di entrambe le componenti.

La conseguenza immediata è l'assenza di perfusione sistemica. L'arresto cardiaco è una condizione di morte clinica reversibile che, se non adeguatamente trattata, è destinata ad evolvere in morte biologica irreversibile a causa della ipoossigenazione cerebrale. Le cause di arresto cardiaco possono essere:

cardiache (tra le quali la più frequente è la cardiopatia ischemica)
non cardiache, meno frequenti, a loro volta suddivisibili in meccaniche (tamponamento cardiaco, embolia polmonare, pneumotorace iperteso, e altre) e anossiche (ad esempio ostruzione delle vie aeree ed eventi neurologici)
L'insorgenza dell'arresto cardiaco è spesso istantanea, senza segni clinici o sintomi premonitori. In alcuni casi il paziente può avvertire una sintomatologia riferibile alla condizione clinica che è causa dell'arresto: palpitazioni, vertigini, dispnea, dolore toracico. L'obiettività in corso di arresto cardiaco è caratterizzata dall'assenza del polso centrale (carotideo), dalla perdita di coscienza, e da una serie di segni clinici che compaiono dopo un lasso di tempo variabile: midriasi, pallore o cianosi cutanea, gasping, incontinenza sfinterica, rilassamento della muscolatura scheletrica. L'evoluzione dell'arresto cardiaco verso la morte biologica irreversibile dipende in maniera critica dal tempo che intercorre tra l'evento primario e la messa in atto delle manovre assistenziali. Il cervello è molto sensibile alla anossia derivante dall'arresto di circolo: in pochi secondi si ha perdita di coscienza, mentre dopo circa 4 minuti si hanno danni irreversibili. Il cuore è meno sensibile, ma anche l'attività cardiaca va deteriorandosi nel giro di qualche minuto; la tachicardia ventricolare senza polso (TV) e la fibrillazione ventricolare (FV), che sono in genere i ritmi di esordio dell'arresto cardiaco da ischemia miocardica, decadono in qualche minuto a FV a basso voltaggio, e infine ad asistolia. In pochi altri minuti sopravviene la morte biologica.