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I concetti di anomalie e di malattie non sono però suscettibili di una definizione con criteri precisi di validità come nella patologia delle altre affezioni morbose, poichè è necessario tener conto della funzione « utile » o « dannosa », per l'individuo e per la società , che assumono determinate anomalie psichiche, di cui spesso risultano affetti individui dotati di superiori qualità affettive o intellettuali. In mancanza di un substrato anatomo-patologico, come nel caso delle malattie endogene, il concetto di malattia è fondato soprattutto sull'esame dei sintomi che risultano incomprensibili alla psicologia normale, prendendo come termine di paragone una condizione di benessere psichico al livello medio, con un criterio di valutazione empirico e generalmente controvertibile.
Accenni di indagine sui disturbi mentali si ritrovano negli autori antichi, in Ippocrate, Celso e Galeno, nella medicina e nella filosofia dei secoli seguenti, ma la psichiatria come scienza può considerarsi iniziata dagli studi di A. Haller, di V. Chiarugi e di Ph. Pinel, alla fine del XVIII sec, mentre successivamente il metodo scientifico viene perfezionato in Francia da E. Esquirol, a cui è dovuto il primo abbozzo di classificazione clinica delle malattie mentali, da Verga e Biffi in Italia, da Kraepelin e Bleuler in Germania.
Nella formulazione delle dottrine psichiatriche si distingue una corrente organicistica, che identifica la causa delle infermità mentali in alterazioni anatomico-neurologiche, secondo le teorie formulate per la prima volta dal Morgagni e sviluppate successivamente fino a F. J. Gali, a W. Griesinger, a Wernicke e a K. Kleist, mentre un'opposta corrente segue un indirizzo più specificamente psicologico, o meglio psicodinamico, trovando il massimo esponente in Freud.