martedì 11 gennaio 2011

ASSIDERAMENTO [dal lat. med. assiderare, der. di sidus, astri, costellazione].

ASSIDERAMENTO [dal lat. med. assiderare, der. di sidus, astri, costellazione]. - Complesso di fenomeni conseguenti alla prolungata espo­sizione del corpo a basse temperature, caratte­rizzato da progressiva diminuzione della circo­lazione periferica, depressione, prostrazione che può condurre a morte. Terapia: respirazione artificiale, cardiocinetici, bagni a temperatura crescente (da 18` a 300, in parecchie ore).

ASSUEFAZIONE

ASSUEFAZIONE. - In farmacologia, l'ASSUEFAZIONE del­l'organismo ad un farmaco a motivo della sua continua somministrazione, diminuisce il grado di efficacia del farniaco stesso postulando la ne­cessità di ricorrere a dosi sempre maggiori di esso. Talvolta l'ASSUEFAZIONE annulla del tutto l'azione del farmaco.

ASTIGMATISMO [dal gr. a priv., e stigma, punto]

ASTIGMATISMO [dal gr. a priv., e stigma, punto]. - Difetto dell'occhio o di uno strumen­to ottico, dovuto ad imperfezione nella curva dell'occhio o della lente, tale da far sì che un punto luminoso non dia un punto come imma­gine, ma una linea o una macchia confusa. Ciò avviene perché i raggi luminosi non convergono tutti nello stesso punto. L'ASTIGMATISMO si corregge con apposite lenti.

ATREPSIA - Malattia dei neonati

ATREPSIA [comp. di a priv., e del gr. thrép­sis, nutrizione]. - Malattia dei neonati che de­periscono per la perdita della capacità di assi­milare il cibo. Si manifesta con tipico aspet­to senile, cute secca e rugosa, eritemi, ulce­razioni, ecc. La morte sopravviene per inani­zione.

ATRESIA - Mancanza della normale aper­tura (canale o orifizio) di alcune formazioni anatomiche

ATRESIA - Mancanza della normale aper­tura (canale o orifizio) di alcune formazioni anatomiche (es. esofago, pupilla, ano, uretra, vagina). Nel caso di canali il neonato non può sopravvivere, nel caso di orifizi si procede al­l'immediata apertura chirurgica.

ATROPINA Alcaloide di sapore amaro

ATROPINA [da Atropa, nome lat. della bella­donna]. - Alcaloide di sapore amaro e di azio­ne violenta che si estrae dalle radici di bella­donna e da altri vegetali. L'A., isolata nel 1833 dal fisico Mein, è usata in dosi opportune (in­feriori a 5 milligrammi) come analgesico. Il solfato di ATROPINA in soluzione acquosa, è impiegato in oculistica per dilatare la pupilla e facilitare l'esame dell'occhio. Gli avvelenamenti da ATROPINA si riconoscono immediatamente per la subitanea dilatazione delle pupille e si combattono con iniezioni di morfina, pilocarpina, ecc.

ATTINOTERAPIA [dal gr. aktís, raggio, e terapia].

ATTINOTERAPIA [dal gr. aktís, raggio, e terapia]. - Metodo di cura di alcune malattie (rachitismo, affezioni tubercolari non polmona­ri, ecc.) con i raggi solari o più specialmente con i raggi ultravioletti prodotti da lampade ad arco fra elettrodi di mercurio.

ANGIOCOLITE Infiammazione acuta o cronica delle vie biliari

ANGIOCOLITE [dal gr. anghéion, vaso, e colé, bile]. - Infiammazione acuta o cronica delle vie biliari, dovuta al bacterium coli o ad altri germi particolari. Di solito è associata alla colecistite, prendendo il nome di angiocolecistite.

ANGIOMA Tumore di vasi sanguigni

ANGIOMA [dal gr. ángheion, vaso]. - Tumore che consiste essenzialmente di vasi sanguigni (emangioma, voglia di vino) o linfatici (linfan­gioma). Può trovarsi superficialmente, nel cuoio capelluto, cute, ecc. o all'interno (fegato, cer­vello, ecc.). La cura è chirurgica.

RIMEDI ANTAGONISTICI. - Sostanze farma­cologicamente attive

RIMEDI ANTAGONISTICI. - Sostanze farma­cologicamente attive che pur non agendo chimicamente l'una nei confronti dell'altra, tuttavia agiscono in senso contrario sullo stesso elemento anatomico, neutralizzandosi reciprocamente (atropina, cloralio, oppio, stricnina, ecc.).

AMENZA - Stato confusionale-allucinatorio acuto

AMENZA [dal lat. antentia, der. da a priv. e mens, mente: «insania»]. - Stato confusionale-allucinatorio acuto da cause tossiche o infetti­ve, ed indipendente da fattori costituzionali spe­cifici, ad inizio solitamente brusco, con o senza idee deliranti, poi stato oniroide, seguito da confusione mentale, eccitazione sensoriale, allu­cinazioni, disorientamento, eccitamento motorio, delirio variabile o sintomi catatonici e stupo­rosi. Si accompagna a febbre e decadimento generale, ecc.; la prognosi è abbastanza favore­vole se la cura è tempestiva.

ASSIMILAZIONE [der. dal lat. assimilare, render simile].

ASSIMILAZIONE [der. dal lat. assimilare, render simile]. - Processo mediante il quale l'or­ganismo animale e vegetale trasforma sostanze estranee in sostanze proprie all'organismo stesso. L'organismo animale assimila, previa digestione, gli alimenti e l'ossigeno dell'aria; parimenti l'organismo vegetale delle piante verdi assorbe dal terreno sostanze minerali, e l'azoto dell'aria mediante la fotosintesi clorofilliana. Nell'organi­smo animale il sangue è il veicolo delle sostan­ze che vanno a formare i tessuti, dopo essere state trasformate in maltosi, glucosi, acidi gras­si, glicerina ed amminoacidi.

Allergologia - trattamento delle allergie

L'allergologia è una branca della medicina che si occupa della prevenzione, della diagnosi e del trattamento delle allergie, patologie immunitarie caratterizzate da ipersensibilità verso particolari sostanze, e delle malattie ad esse correlate.Le competenze del medico interessano per ovvi motivi anche il campo dell'immunologia.La storia dell'immunologia nasce nel 1906 con la definizione del concetto di allergia da parte del medico austriaco Clemens von Pirquet, data in cui insieme al collega Béla Schick identificò la cosiddetta malattia da siero.Il termine indicava una reazione avversa alla somministrazione di un antigene.Attualmente con allergia si intende soltanto un particolare tipo di reazione di ipersensibilità, che rientra comunque nella classificazione oggi accettata, e fornita nel 1963 da Philip Gell e Robin Coombs.Secondo la definizione di von Pirquet, «allergia» significava infatti "reazione modificata" del sistema immune, e poteva applicarsi tanto alla malattia da siero (oggi classificata ipersensibilità di tipo III mediata da complessi antigene-anticorpo), quanto alla reazione alla tubercolina (oggi classificata Ipersensibilità di tipo IV cellulo-mediata), mentre il termine «allergia» nella Classificazione di Gell e Coombs viene riservato solo alle reazioni di Ipersensibilità di Tipo I o immediata.

Angiologia - patologie che colpiscono i vasi sanguigni e quelli linfatici

L'angiologia è quella branca della medicina che studia l'anatomia e le patologie che colpiscono i vasi sanguigni e quelli linfatici. La parola deriva dal greco angios ("vaso") e logos ("studio").Tra le patologie che colpiscono i vasi arteriosi ci sono l'aneurisma, l'aterosclerosi e la dissecazione dell'aorta, la trombosi e l'embolia. Tra quelle che colpiscono i vasi venosi ci sono le vene varicose, l'insufficienza venosa cronica e la trombosi venosa, mentre i vasi linfatici sono interessati principalmente da casi di linfedema primario o secondario.L'angiologia si occupa anche della modifica dei fattori di rischio nel caso di valori alti di colesterolo e pressione sanguigna. Lo studio del sistema venoso si chiama flebologia.

Cardiologia - studio e diagnosi delle malattie cardiovascolari acquisite

La cardiologia è una branca della medicina che si occupa dello studio, della diagnosi e della cura (farmacologica e/o invasiva) delle malattie cardiovascolari acquisite o congenite.La cardiologia è una disciplina che negli anni più recenti si è molto evoluta e al suo interno si sono sviluppate specialità come l'emodinamica e l'elettrofisiologia.Va inoltre segnalato che il miglioramento terapeutico medico e chirurgico delle Cardiopatie congenite ha permesso la sopravvivenza di numerosi bambini che diventati adulti hanno determinato il crearsi di una nuova branca della Cardiologia che è quella dedicata al Cardiopatici Congeniti Adulti.Chi si occupa di tale branca della medicina, come medico specialista, viene chiamato cardiologo.Oltre che della cura di malattie cardiovascolari, scompensi, anomalie, il cardiologo si occupa della prevenzione cardiovascolare e della riabilitazione del paziente sottoposto ad intervento cardiochirurgico.Le malattie cardiovascolari sono ancora la prima causa di morte al mondo (50 % del totale dei paesi sviluppati e 25% nei paesi in via di sviluppo).Fra le malattie cardiache più diffuse ritroviamo l' Angina stabile acuta e l'Infarto miocardico acuto.

venerdì 7 gennaio 2011

Muscolo orbicolare della bocca muscolo ellittico

È un esteso muscolo ellittico che va dal margine inferiore delle narici alla rima labiale superiore, dal solco mento-labiale alla rima labiale inferiore e lateralmente si ferma a livello della commessura labiale. È formato da due parti:una Esterna ed una Interna
Parte Esterna
Accoglie fasci che provengono da molti muscoli mimici soprattutto dal canino, buccinatore, triangolare, incisivi e zigomatico. È costituito da due semicerchi con il centro sulla commessura e l'apice a livello della linea mediana delle labbra; superiormente manda fasci fino ad attaccarsi al contorno posteriore della cartillagine del setto nasale memranoso e questi fasci prendono il nome di muscolo depressore del setto.
Parte Interna
È un unico anello che circonda la rima labiale.
Contraendosi il muscolo orbicolare della bocca regola l'apertura della rima labiale.

muscoli incisivi:uno superiore ed uno inferiore

Vi sono due muscoli incisivi:uno superiore ed uno inferiore.

  • Superiore

si attacca al giogo alveolare dell'incisivo laterale superiore (o II incisivo superiore) in corrispondenza della fossa incisiva del mascellare; si porta in basso e lateralmente fino alla commessura labbiale. Contraendosi porta in alto e medialmente la commessura labbiale

  • Inferiore

origina dal giogo alveolare dell'incisivo laterale inferiore e si porta in alto e lateralmente per inserirsi alla cute della commessura labbiale. Con la sua aziuone porta in basso e medialmente la commessura labbiale.

Muscolo Buccinatore

È un muscolo esteso che entra a far parte della costituzione della guancia. Ha un'estesa origine: dalla faccia esterna del processo alveolare del mascellare superiore ed inferiore a livello dei denti molari, dalla tuberosità mascellare, dall'uncino pterigoideo, lateralmente al lembo alveolare retro dentale inferiore. Da questa estesa origine i suoi fasci si portano in avanti ed in alto ed in basso fino alla commessura labiale, qui i suoi fasci si incrociano e molti entrano a far parte del muscolo orbicolare della bocca. Il muscolo è ricoperto dalla fascia buccinatoria che in avanti diventa sottilissima fino a scomparire. La fascia buccinatoria forma a livello dell'uncino pterigoideo una robusta formazione fibrosa: il rafe pterigoideo che prosegue in basso fino ad attaccarsi alla faccia interna del ramo della mandibola dietro avanti ed in basso al foro mandibolare. Con la sua azione porta indietro la commessura labiale, fa aderire le guance ai denti favorendo la masticazione.

muscolo orbicolare dell'occhio

Questo muscolo si può dividere in tre porzioni: Orbitaria, Palpebrale e Lacrimale.
Parte orbitaria
È un anello ellittico che si dispone attorno all'occhio. Si diparte dal legamento parpebrale verso l'alto per farvi ritorno dal basso dopo aver fatto un giro attorno all'occhio, inoltre si attacca anche al sacco lacrimale. In corrispondenza dell'angolo laterale della palpebra invia alcuni fasci muscolari che entrano a far parte del muscolo zigomatico.
Parte palpebrale
È contenuta nello spessore delle palpebre. Dal legamento palpebrale mediale si dipartono fasci sia in alto che in basso che terminano nel rafe palpebrale laterale, costituendo la parte superiore ed inferiore della porzione palpebrale dell'Orbicolare dell'occhio.
Parte lacrimale
È la più profonda delle tre. Si diparte dal contorno posteriore della fossa del Sacco lacrimale: la cresta lacrimale superiore. Da qui continua in avanti ed in fuori per inserirsi nella cute della commessura palpebrale mediale.
Con la sua azione il muscolo Orbicolare dell'occhio chiude le palpebre, convoglia le lacrime verso l'angolo interno dell'occhio e, agendo sul sacco lacrimale, ne facilita il riflusso.

muscoli della testa muscoli del cranio epicranica, orbitaria, buccale, nasale ed auricolare

I muscoli della testa sono quell'insieme di muscoli del cranio che si dividono in epicranica, orbitaria, buccale, nasale ed auricolare. Si ritrovano poi due particolari tipi di muscoli: i mimici (o pellicciai) che sono quell'insieme di muscoli che permettono cambiamenti dell'espressione facciale e quelli scheletrici (che nel cranio prendono il nome di muscoli masticatori perché permettono la masticazione), essi genericamente determinano un movimento di un osso; nel caso dei muscoli della testa si ritrova l' unica articolazione mobile l' articolazione temporo mandibolare, tra l'Osso temporale e la Mandibola.

Questa regione ha come limiti:
Anteriore, una linea orizzontale che passa per la glabella e decorre sul contorno superiore dell' arcata Sopracciliare.
Laterali, una linea che decorre dal margine laterale dell'arcata sopracciliare sopra la linea temporale superiore e termina sul processo mastoideo dell'osso temporale.
Posteriore, il limite posteriore corrisponde alla linea nucale superiore.

tessuto muscolare cardiaco elementi cellulari detti cardiomiociti

Il tessuto muscolare cardiaco è composto da particolari elementi cellulari detti cardiomiociti, i cardiomiociti non sono sincizi come nel caso delle fibre muscolari striate ma elementi cellulari più piccoli e generalmente mononucleati con nucleo disposto centralmente ma striatura analoga alle fibrocellule scheletriche. La forma del cardiomiocite è cilindrica ma le cellule spesso si biforcano alle estremità formando una rete tridimensionale. Alle estremità delle cellule sono presenti delle interdigitazioni di membrana e dei complessi giunzionali di struttura simile ai desmosomi detti fasciae adaerentes e giunzioni gap, che hanno la funzione di collegare i cardiomiociti e di trasmettere la forza della contrazione da una cellula all'altra, le zone di connessione tra cellula e cellula sono dette strie intercalari o scalariformi. Le giunzioni gap, che consentono la conduzione dell'impulso,rendono i cardiomiociti un sincizio funzionale.
Nei cardiomiociti la contrazione non è volontaria ma spontanea, cosicché la funzione del sistema nervoso autonomo che innerva il cuore è esclusivamente legata alla modulazione della frequenza della contrazione che è trasmessa da una particolare formazione detta nodo seno-atriale ed è trasmessa all'intero miocardio dal sistema di conduzione del cuore.
Nei cardiomiociti il reticolo sarcoplasmatico assume una struttura leggermente diversa rispetto a quella presente nel tessuto muscolare striato scheletrico; mancano, infatti, le cisterne terminale e fenestrata centrale ma sono presenti tubuli longitudinali che tramite delle estroflessioni si affrontano ai tubuli T (che in questo caso sono posti nella regione della linea z) formando le diadi del reticolo.

Tessuto muscolare liscio o involontario

Il tessuto muscolare liscio costituisce la muscolatura dei visceri e dei vasi sanguigni, la cui contrazione è involontaria. Questo tipo di tessuto muscolare ha le seguenti particolarità :
contrazione lenta e prolungata
contrazione indipendentemente dalla volontà e mediata dal sistema nervoso autonomo o da ormoni
contrazione che avviene per tutto il muscolo contemporaneamente: questa è la caratteristica più importante del muscolo liscio. Il muscolo si comporta proprio come se si trattasse di un'unica fibra, anche se nella realtà ci sono più fibre che si susseguono l'una all'altra. In questo caso si dice che questo tipo di tessuto si comporta come un sincizio funzionale.


Fibrocellule lisce isolate
È costituito da fibrocellule muscolari lisce, ricchissime nel loro citoplasma di miofibrille, che sono le unità elementari per la contrazione muscolare. Tali miofibrille, a differenza di quanto avviene nel tessuto muscolare striato non sono in registro, al contrario sono disposte in tutte le direzioni, da ciò si comprende la mancanza della striatura trasversale che caratterizza il tessuto.
La fibrocellula liscia ha forma allungata, fusata, con la parte centrale, contenente il nucleo, più larga rispetto alle estremità che appaiono rastremate. Le fibrocellule si organizzano in fasci e si dispongono sfasate con la zona perinucleare che si dispone a contatto con le sottili estremità delle cellule attigue. Manca in questo tipo cellulare un vero e proprio reticolo sarcoplasmatico ma è presente il reticolo endoplasmatico. I tubuli T sono assenti ma si notano introflessioni di membrana denominate caveolae. Inoltre al microscopio elettronico si individuano delle zone dense dette corpi densi che hanno funzioni analoghe a quelle della linea z del tessuto muscolare striato. Poiché non tutte le fibrocellule lisce sono innervate tra esse si rilevano giunzioni gap o serrate (complessi giunzionali che tramite canali ionici mettono in comunicazione il citoplasma di due cellule) necessarie alla conduzione dell' impulso contrattile da una cellula all'altra. Questo tipo di tessuto è presente, come accennato, nei vasi sanguigni, nello stomaco, nell'intestino, nella vescica, nell'utero ed in altri organi interni.

tipi di fibre muscolari: lente e veloci (o rapide)

Dal punto di vista funzionale possiamo dire che esistono 2 tipi di fibre muscolari: lente e veloci (o rapide). Le prime sono anche dette fibre rosse perché i muscoli in cui prevalgono si presentano di colore rosso scuro, a causa dell'abbondanza in questo tipo di fibre di mioglobina e dell'elevato livello di capillarizzazione. Si presentano inoltre ricche di mitocondri, sia subsarcolemmali che intermiofibrillari.Hanno la caratteristica di avere una maggior quantità di alfa actinina e delle altre proteine a costituire linee Z ed un'"impalcatura" sarcomerica più abbondante. Le fibre veloci sono invece dette bianche perché i muscoli in cui prevalgono si presentano più chiari rispetto a quelli prevalentemente "rossi". Presentano quindi scarsa mioglobina e capillarizzazione, oltre ad minor numero di mitocondri, mentre presentano abbondanti granuli di glicogene. Le fibre bianche hanno inoltre maggior diametro e dimensioni maggiori delle rosse, come anche le loro giunzioni neuromuscolari. Dal punto di vista enzimatico possiamo distinguere, in base all'attività ATPasica:

  • fibre di tipo 1 : corrispondono alle fibre rosse, sono caratterizzate da bassa attività ATPasica. Si contraggono lentamente e poco intensamente e tollerano maggiormente la fatica (sono dunque in grado di mantenere la contrazione per un periodo piuttosto lungo). Presentano grandi quantità di enzimi mitocondriali e producono ATP prevalentemente tramite la glicolisi aerobica e la fosforilazione ossidativa ad essa associata.
  • fibre di tipo 2: corrispondono in generale alle fibre bianche, sono caratterizzate da elevata attività ATPasica. Si contraggono rapidamente ed intensamente ma tollerano poco la fatica. Presentano grandi quantità di enzimi glicolitici e producono prevalentemente ATP tramite la glicolisi anaerobica.

Le fibre di tipo 2 si suddividono a loro volta in:

  • tipo A: sono fibre che possiamo definire "intermedie" presentando caratteristiche strutturali e metaboliche intermedie tra le 2B e le 1.
  • tipo B:sono quelle a più elevata attività glicolitica.
  • tipo X: sembrano essere ancora indifferenziate, dando poi origine alle 2A o 2B

tessuto muscolare striato o scheletrico

Il tessuto muscolare striato o scheletrico è uno dei tessuti piu importanti nel nostro corpo È formato da elementi cellulari lunghi e sottili, polinucleati, detti fibre muscolari striate o fibrocellule ( vedi anche fibrocellula), con una lunghezza variabile da 1 mm ad un massimo di 12 cm nel muscolo sartorio, il diametro va da un minimo di 10 micron ad un massimo di 100-105 micron (il diametro medio oscilla tra i 10 e i 50 micron). Si tratta di elementi cellulari derivanti dalla fusione di cellule progenitrici dette mioblasti, da ciò è chiaro come le fibrocellule siano, in realtà, dei sincizi più che delle cellule.
La fibra muscolare scheletrica ha forma vagamente cilindrica, in essa si rilevano numerosi nuclei (anche centinaia) posti a ridosso del sarcolemma (si denomina così la membrana cellulare delle cellule muscolari) e, soprattutto, caratteristica della fibrocellula scheletrica è la striatura trasversale che appare ben evidente al microscopio ottico.
Prima di affrontarci (la striatura trasversale appunto) è bene comprendere la natura delle fibrille che riempiono il citoplasma della fibrocellula: nelle fibrocellule le miofibrille sono composte dall'associazione di due tipi di filamenti detti filamenti spessi e filamenti sottili.
I filamenti spessi sono composti prevalentemente dalla proteina miosina, questa proteina presenta una testa globosa ed una coda filamentosa. Molte proteine di miosina si associano a formare un filamento spesso disponendosi con le code che guardano verso il centro e le teste poste all'estremità e sporgenti verso l'esterno a formare dei ponti trasversali. I ponti trasversali si ripetono periodicamente e flettendosi prendono parte attiva nella contrazione muscolare provocando lo scorrimento reciproco dei filamenti (sottili e spessi).
I filamenti sottili sono prevalentemente composti dalla proteina actina, l'actina ha struttura globulare ma polimerizza formando strutture filamentose che associate ad altre proteine costituiscono i filamenti sottili.

tessuto osseo - tessuto connettivo - sostegno organismo

Il tessuto osseo è un tipo particolare di tessuto connettivo, che svolge funzione di sostegno strutturale dell'intero organismo. La sua caratteristica principale è quella di possedere una matrice extracellulare calcificata, che fornisce al tessuto stesso notevoli doti di compattezza e di resistenza. La matrice contiene inoltre fibre, specialmente elastiche, che conferiscono al tessuto un certo grado di flessibilità, e ovviamente da cellule denominate osteoblasti. In base all'organizzazione della matrice, il tessuto osseo può essere diviso in due sottotipi: tessuto osseo lamellare e tessuto osseo non lamellare.
il tessuto osseo non lamellare, è presente nei volatili, mentre nei mammiferi rappresenta la versione immatura del tessuto osseo, ed è presente solo durante lo sviluppo dell'organismo, per essere poi rimpiazzato dal tessuto lamellare durante la crescita. In questo tipo di tessuto la matrice calcificata non è organizzata in strutture definite, ma si presenta disordinata ed irregolare
il tessuto osseo lamellare è presente invece nell'organismo adulto, ed caratterizzato dall'alto grado di organizzazione dei componenti della matrice, che sono disposte in strati, definiti appunto lamelle, altamente ordinati. Può a sua volta essere suddiviso in due tipi, a seconda del tipo di organizzazione delle lamelle: tessuto osseo spugnoso e tessuto osseo compatto.
nel tessuto osseo spugnoso, le lamelle vanno a costituire strutture ramificate definite spicole; per questo motivo, all'esame ottico appare come una massa spugnosa ricca di cavità intercomunicanti
nel tessuto osseo compatto invece, le lamelle si organizzano a formare strutture concentriche, definite osteoni, addossate le une alle altre a lasciare un'unica lacuna centrale.

tessuto adiposo - organo adiposo

Il tessuto adiposo, che più propriamente andrebbe chiamato organo adiposo, è un particolare tipo di tessuto connettivo. Ha un colorito giallo ed una consistenza molliccia, ed è costituito da cellule adipose, dette adipociti, che possono essere singole o riunite in gruppi nel contesto del tessuto connettivo fibrillare lasso. Se le cellule adipose sono molte, e per questo sono organizzate in lobuli, allora costituiscono il tessuto adiposo che è una varietà di tessuto connettivo lasso. Questo tessuto è presente in molte parti del corpo e, in particolare, sotto alla pelle, venendo a costituire il pannicolo adiposo (lat. panniculus diminutivo di pannus, cioè panno) cioè striscia o strato di tessuto di grasso sottocutaneo particolarmente abbondante. Per il 50% è accumulato nel tessuto connettivo sottocutaneo dove svolge sia un'azione di copertura, che un'azione meccanica che un'azione coibente. Il 45% lo ritroviamo nella cavità addominale dove forma il tessuto adiposo interno. Il 5% lo ritroviamo nel tessuto muscolare come grasso di infiltrazione che ha la funzione di agevolare e facilitare la funzione del tessuto muscolare. Questo sottotipo di tessuto è costituito dalle cellule adipose multiloculari (al contrario dei normali adipociti non hanno un'unica goccia lipidica ma tante piccole gocce che aumentano la superficie di combustibile esposta al citosol e lo rendono quindi più disponibile per il metabolismo cellulare), è molto scarso nell’uomo adulto e appare brunastro se osservato al microscopio ottico, sia per la presenza massiccia di mitocondri che per l'elevata vascolarizzazione.

Tessuto connettivo lasso

È il tessuto connettivo propriamente più diffuso. Si distingue per l'abbondanza della sostanza amorfa rispetto alla componente fibrosa e su quella cellulare e per il maggior numero di nuclei cellulari rispetto al connettivo denso. Per il tipo di fibre che lo compongono può essere ulteriormente classificato come:
fibroso (fibre collagene tipo I),
reticolare (fibre collagene di tipo III),
elastico (fibre elastiche).
Il tessuto connettivo lasso reticolare è particolarmente diffuso negli organi emopoietici e linfoidi, nella muscolatura lisce e in alcune ghiandole; tra le sue fibre sono presenti numerosi macrofagi e fibroblasti. Uno speciale tipo di tessuto connettivo lasso è il tessuto mucoso, diffuso nell'embrione e in particolare costituente della gelatina di Wharton, ovvero la sostanza amorfa del cordone ombelicale. Tale tessuto si definisce mucoso a causa della sua consistenza, dovuta all'abbondante quantità di acido ialuronico. Possiede poche fibre collagene o reticolari, scarsi macrofagi ma numerosi fibroblasti stellati. Se colorato, presenta intensa basofilia. Il tessuto connettivo lasso forma la tonaca propria e la tonaca sottomucosa delle mucose, avvolge molti organi e si inoltra in essi con setti che ne suddividono il parenchima in lobi e lobuli, costituisce inoltre lo stroma, la tonaca intima e la tonaca avventizia delle arterie, la tonaca media e avventizia delle vene assieme al tessuto muscolare liscio. Connette gli organi e ne riempie gli spazi liberi, circonda muscoli (epimisio, perimisio) e nervi (endonevrio, perinevrio).

Tessuto connettivo denso

Si distingue per l'abbondanza della componente fibrosa raccolta in fasci, rispetto alla matrice e alla componente cellulare. Per il tipo di fibre che lo compongono può essere ulteriormente suddiviso in fibroso (fibre collagene tipo I) o elastico (fibre elastiche), e per la disposizione delle fibre può essere distinto in regolare, se esse assumono andamento ordinato, o irregolare se non assumono una disposizione ordinata. La funzione del tessuto connettivo denso è prevalentemente meccanica, l'orientamento e la qualità delle sue fibre determinano infatti le sue diverse proprietà, come la resistenza alla trazione o la deformabilità.
Tessuto connettivo denso irregolare: è un connettivo caratterizzato da numerose fibre collagene che si aggregano in fasci molto densi fra loro, talvolta accompagnati da reti di tessuto elastico. Le cellule sono poche, vi sono perlopiù fibroblasti e rari macrofagi, scarsa la sostanza amorfa. Si riscontra nel derma, nella capsula fibrosa di organi quali milza, fegato, testicolo, linfonodi, forma la guaina dei tendini e dei nervi più importanti e il periostio.
Tessuto connettivo denso regolare: è un connettivo caratterizzato da fibre collagene fittamente stipate ed orientate tutte nella stessa direzione, concorde a quella della trazione che il tessuto deve sopportare. Scarsa la sostanza amorfa, pochissime le cellule, che sono quasi esclusivamente fibroblasti disposti nei sottili interstizi delle fibre collagene. Come nel denso irregolare, alle fibre collagene possono essere associate reti di tessuto elastico. Forma tendini, legamenti, aponeurosi, stroma corneale. Nei tendini e nei legamenti le fibre raggiungono la disposizione più ordinata e sono orientate tutte nella stessa direzione con i fasci legati da tessuto connettivo lasso, nelle aponeurosi le fibre sono disposte in strati ordinati in più direzioni, nello stroma corneale invece questi strati sono orientati perpendicolarmente l'uno all'altro.
Tessuto connettivo denso elastico: è un connettivo caratterizzato dalla prevalenza delle fibre elastiche sulle fibre collagene, vi sono fibroblasti interposti tra i fasci di fibre elastiche, a loro volta avvolti da fibre reticolari. Forma i legamenti gialli delle vertebre, le corde vocali, le lamine fenestrate delle arterie maggiori.

glicoproteine - fibronectina e fibre collagene

Le glicoproteine, in quantità inferiori alle due categorie precedenti, tra le quali spicca la fibronectina, che, grazie all'interazione stabilizzatrice dei glicosaminoglicani solfati, si lega alle fibre collagene.
A causa della scarsa densità delle macromolecole che la costituiscono, è la sostanza amorfa trasparente ed invisibile al microscopio a fresco. È leggermente PAS-positiva per il suo contenuto in glicoproteine (è intensamente PAS-positiva nella cartilagine, nelle membrane basali e nell'osso dove la concentrazione di glicoproteine è maggiore), può però essere colorata con il metodo Alcian blu e con i coloranti basici come l'anilina, che danno luogo a fenomeni di metacromasia. La metacromasia è dovuta alla presenza dei glicosaminoglicani acidi della matrice, ed è tanto più elevata quanto più questi sono solforati (condrotin-solfato, chetaran-solfato, eparan-solfato). La sostanza amorfa contiene elevate quantità d'acqua, che però difficilmente si presentano come liquido interstiziale o tissutale libero, ma sono legate alle molecole della matrice, determinandone l'idratazione. L'acqua legata alla matrice, in cui sono disciolti gas ed altre sostanze, diffonde a partire dai capillari sanguigni e funziona come mezzo di dispersione e scambio tra la circolazione sanguigna e il tessuto connettivo permettendone il nutrimento. Si dice quindi che la sostanza amorfa sia l'elemento con funzione trofica del tessuto connettivo. È possibile riscontrare nella matrice amorfa grandi quantità di liquido interstiziale libero in caso di infiammazione. Oltre alla sua funzione trofica, la disposizione delle molecole della matrice influenza l'orientamento delle fibre in essa contenute, e con la sua complessa trama ostacola la diffusione di microrganismi ed agenti patogeni.

proteoglicani costituiti da glucosaminoglicani

I proteoglicani sono costituiti da numerosi glucosaminoglicani associati trasversalmente ad una proteina che funge da catena centrale, è in questo stato che si trova la maggior parte dei glicosaminoglicani della matrice, fatta eccezione per l'acido ialuronico che, per la sua elevata viscosità non si lega, contribuendo a formare, tra le altre cose, il liquido sinoviale. Il peso molecolare di un proteoglicano varia da 1 a 10 milioni di dalton, di cui l'80-95% è composto da glicosaminoglicani e il 5-20% da proteine. Sono sintetizzati nell'apparato di Golgi che lega uno specifico tetrasaccaride (xilosio-galattosio-galattosio-acido glucuronico) ai residui di serina della proteina centrale, per poi aggiungere un monosaccaride alla volta all'estremità libero del tetrasaccaride. Alcuni dei proteoglicani più importanti sono l'aggrecano, presente nella matrice cartilaginea, il sindecano, il versicano, il neurocano, la decorina e il β-glicano. I proteoglicani possono inoltre unirsi intorno ad una molecola di acido ialuronico centrale, formando delle strutture di ordine superiore definite aggregati (o complessi) proteglicanici, che sono fra le molecole organiche più grandi esistenti in natura, con peso di decine milioni di Da per diversi μm di lunghezza, dimensioni paragonabili a quelle di un batterio. I proteoglicani a causa della loro struttura, della viscosità e della permeabilità costituiscono degli ottimi filtri molecolari che possono diffondere alcune sostanze di basso peso molecolare, intrappolarne altre più voluminose, impediscono l'attacco di cellule del sangue a causa della loro carica negativa, possono fungere da recettori sulla membrana plasmatica o più comunemente nel glicocalice.

glicosaminoglicani matrice amorfa

I glicosaminoglicani sono i più importanti ed abbondanti componenti della matrice amorfa. Si tratta di lunghi polimeri, con massa atomica variabile da poche migliaia a milioni di Da, costituiti da catene di disaccaridi ripetuti decine di volte, a loro volta formati da un acido uronico (D-glucoronato, L-iduronato) legato ad un amino-zucchero (N-acetil-D-glucosamina, N-acetil-D-galattosamina). I glicosaminoglicani possono essere solforati (chetaran-solfato, condroitin-solfato, eparan-solfato, dermatan-solfato, eparina) oppure non solforati (acido ialuronico). Il glicosaminoglicano più importante è l'acido ialuronico, che costituisce anche la catena centrale degli aggregati proteoglicanici. I glicosaminoglicani riescono a legare notevoli quantità di acqua.

fibre elastiche - fibre collagene - tessuto connettivo denso elastico

Le fibre elastiche sono meno numerose delle fibre collagene in tutti i tipi di tessuto connettivo, fatta eccezione per il tessuto connettivo denso elastico. Hanno uno spessore variabile da 0,2 a 1 μm, con sottili microfibrille dello spessore di soli 11 nm, che non presentano birifrangenza. Strutturalmente sono formate da una matrice amorfa centrale, costituita da elastina, attorniata da esili microfibrille di fibrillina, organizzate in una disposizione altamente ordinata. Quando le fibre elastiche sono molto spesse e concentrate, per esempio nel legamento nucale dei ruminanti, appaiono giallastre, per cui sono dette fibre gialle. Come si evince dal nome, la caratteristica principale di queste fibre è l'elevata elasticità, sono infatti in grado di sopportare torsioni e tensioni anche notevoli, deformandosi per poi ritornare allo stato di distensione originario, sono però poco resistenti alla trazione, per questo in molti tessuti sono presenti sia fibre collagene che fibre elastiche. La loro deformazione è passiva, tali fibre, infatti, modificano la loro estensione solo per mezzo di fattori esterni di pressione o in seguito alla contrazione di fibre muscolari. Le fibre elastiche possono anche fondersi tra loro dando origine alle lamine o membrane elastiche ove sia richiesta una maggiore deformabilità, come nei vasi sanguigni. In particolare, le fibre elastiche costituiscono le membrane elastiche fenestrate esterna ed interna di tutte le arterie e la tonaca media delle vene. Sono fibre molto stabili, resistenti a molti agenti chimici, agli acidi forti del succo gastrico, a basi diluite, vengono però digerite specificamente dall'enzima elastasi, contenuto nel pancreas. Si colorano attraverso l'orceina che fa assumere loro una caratteristica colorazione marrone, oppure attraverso il metodo fucsina-resorcina di Weigert.

fibre reticolari - catene di collagene

Le fibre reticolari, costituite da catene di collagene di tipo III, sono diffuse nel tessuto connettivo lasso, nei muscoli, nell'endonevrio, nel tessuto adiposo, negli organi linfoidi e nella parete dei vasi sanguigni. Sono anch'esse costituite da fibrille e microfibrille che presentano periodicità assile 64-70 nm, ma le fibrille sono più sottili (spessore medio di 50 nm) e di conseguenza lo sono anche le fibre reticolari (spessore variabile 0,5-2 μm). Le fibre reticolari non si associano tra di loro per formare fasci, ma costituiscono trame e reti sottili, decorrendo su due piani o in senso tridimensionale, con ampi spazi tra le maglie occupati da matrice amorfa. Non possiedono la striatura longitudinale delle fibre collagene, ma possiedono un maggiore grado di glicosilazione dell'idrossilisina e per questa ragione sono PAS-positive, inoltre si colorano facilmente con il metodo dell'impregnazione argentica e per questo sono anche definite fibre argirofile.

adipociti cellule del tessuto connettivo

Gli adipociti sono cellule fisse del tessuto connettivo adibite alla raccolta, al mantenimento e alla secrezione dei lipidi. Hanno un diametro molto variabile, che può superare i 100 μm forma tondeggiante a causa dell'unica goccia lipidica (per gli adipociti uniloculari) che occupa quasi tutto il citoplasma, schiacciando il nucleo contro la membrana plasmatica. Si trovano in tutti i tipi di tessuto connettivo, lungo i vasi sanguigni, e costituiscono la tipologia cellulare prevalente nel tessuto adiposo. Svolgono una funzione di riserva energetica, contribuendo al riscaldamento del corpo. Possono essere colorati con i coloranti solubili nei classi come Sudan Nero, Sudan III o Orange G. Gli adipociti esistono in due varietà: gli adipociti uniloculari e gli adipociti multiloculari.
gli adipociti uniloculari presentano un unico grande vacuolo, contenente i lipidi, che riempie la quasi totalità della cellula. Il nucleo ed il citoplasma cellulare risultano perciò decentrati e schiacciati lungo i bordi della membrana plasmatica. Essi formano il tessuto adiposo bianco.
gli adipociti multiloculari non possiedono invece il vacuolo centrale, ma presentano i lipidi raccolti in numerose piccole gocce disperse nel citoplasma. In queste cellule il nucleo si presenta in posizione centrale. Formano il tessuto adiposo bruno.

linfociti cellule del sistema immunitario

I linfociti sono cellule appartenenti al sistema immunitario, e, pur essendo formalmente cellule connettivali, si trovano in prevalenza libere nel sangue. Vengono suddivisi in due classi principali: i linfociti B e i linfociti T:
I linfociti B sono in grado di riconoscere l'antigene presentato dai macrofagi, ed in risposta maturano in plasmacellule, producendo anticorpi che intervengono ad eliminare i corpi estranei.
I linfociti T, oltre a cooperare con i linfociti B e con le proteine del complesso maggiore di istocompatibilità per permettere il riconoscimento degli antigeni, sono anche deputati alla risposta self, ovvero all'eliminazione di cellule appartenenti all'organismo stesso, alterate dall'infezione di un virus o cancerogene.

fibroblasti - cellule tessuto connettivo

I fibroblasti sono le cellule più numerose del tessuto connettivo propriamente detto. La loro funzione è quella di produrre le fibre e i componenti macromolecolari della matrice extracellulare, che costituisce l'elemento di gran lunga più abbondante del tessuto, e dalla quale dipendono le funzioni di sostegno proprie del connettivo. I fibroblasti sono generalmente di aspetto fusiforme, sebbene ne esistano varietà che presentano morfologie anche diverse, come un aspetto stellato o tentacolare. Si trovano generalmente dispersi nella matrice da loro stessi creata, ed in molti casi sono disposti lungo le fibre. Al microscopio elettronico è possibile notare, in zona perinucleare, l'apparato di Golgi e i due centrioli, i mitocondri sono generalmente lunghi e sottili, ma nei cementoblasti e negli odontoblasti assumono anche forma tondeggiante. Il reticolo endoplasmatico presenta cisterne appiattite e il suo sviluppo dipende dallo stato funzionale della cellula, tutti i filamenti del citoscheletro sono molto sviluppati, particolarmente i microfilamenti actinici concentrati nella zona corticale. Numerose le strutture di adesione quali podosomi e adesioni focali. Quando cessano la loro attività biosintetica, i fibroblasti si trasformano in fibrociti, che hanno citoplasma debolmente acidofilo in confronto ai fibroblasti biosinteticamente attivi che lo hanno basofilo. Pertanto, fibroblasti e fibrociti rappresentano i due momenti funzionali di una stessa cellula. Cellule di funzione analoga sono presenti nei diversi sottotipi di tessuto connettivo, anche se presentano in alcuni casi peculiarità funzionali.
Corrispondenti per funzione dei fibroblasti negli altri tipi di tessuto connettivo sono:
i condroblasti producono la matrice del tessuto cartilagineo.
gli osteoblasti producono la matrice del tessuto osseo, caratterizzata dal fatto di essere calcificata.
i cementoblasti e gli odontoblasti producono la matrice nei denti.

tessuto connettivo

Il tessuto connettivo possiede un'ampia varietà di cellule, deputate a svolgere attività diverse in relazione anche alla natura del tessuto a cui appartengono e alla posizione che questo assume nell'organismo. In generale, è possibile operare una distinzione tra le cellule deputate alla formazione e al mantenimento della matrice (fibroblasti, condroblasti, osteoblasti, cementoblasti, odontoblasti), cellule deputate alla difesa dell'organismo (macrofagi, mastociti, leucociti) e cellule deputate a funzioni speciali, come gli adipociti del tessuto adiposo, che accumulano grassi come riserva energetica del corpo. È possibile anche distinguerle in base all loro ciclo vitale in cellule fisse (macrofagi fissi, fibroblasti, adipociti), che svolgono tutta la loro vita nel tessuto connettivo, e cellule migranti (granulociti neutrofili, linfociti, macrofagi) che invece raggiungono il tessuto connettivo dalla circolazione sanguigna. Alcune di esse, come i linfociti, possono passare liberamente dal circolo sanguigno al connettivo, altre, come i granulociti neutrofili, una volta spostatisi per diapedesi nel connettivo non possono più far ritorno nel sangue.

Tessuto adiposo bruno - cellule adipose multiloculari

Questo sottotipo di tessuto è costituito dalle cellule adipose multiloculari (al contrario dei normali adipociti non hanno un'unica goccia lipidica ma tante piccole gocce che aumentano la superficie di combustibile esposta al citosol e lo rendono quindi più disponibile per il metabolismo cellulare), è molto scarso nell’uomo adulto e appare brunastro se osservato al microscopio ottico, sia per la presenza massiccia di mitocondri che per l'elevata vascolarizzazione.
Il tessuto adiposo bruno ha esclusivamente la funzione di produrre calore perché i mitocondri delle cellule adipose multiloculari hanno meno ATP sintetasi, l'enzima che catalizza la sintesi dell'ATP, a partire dall'ADP, da fosforo inorganico e dall'energia derivante dalla respirazione cellulare. Posseggono invece una proteina canale (la termogenina) la quale dissipa il gradiente elettrochimico degli ioni idrogeno che il ciclo di krebs normalmente produce a cavallo tra la membrana interna e lo spazio intermembrana. Questa peculiarità fa sì che l'energia prodotta dalla scissione dei trigliceridi non venga utilizzata per la produzione di ATP e venga trasformata in calore.
Il grasso bruno è ben rappresentato nei neonati di molte specie (nella specie umana soprattutto a livello della nuca, del collo e delle scapole). Negli adulti è abbondante invece quasi esclusivamente nelle specie che vanno in letargo, mentre negli adulti di altre specie, compresa quella umana, esso è scarsamente presente (l'esistenza di due diverse tipologie di lipoma, cioè di neoplasie del tessuto adiposo, mostra però la permanenza di due diverse tipologie di tessuto adiposo anche nell'individuo adulto).

funzioni del tessuto adiposo

Le funzioni del tessuto adiposo bianco o giallo(colore fisiologico) sono:
Funzione meccanica: occupa interstizi, riveste i nervi, i vasi ed i muscoli foderandoli. Riempie alcuni interstizi del midollo osseo. Funge da "cuscinetto" protettivo in parti del corpo diverse in base all'età e al sesso
Funzione termoisolante: il grasso non conduce il calore, per cui non disperde il calore generato dall’organismo.
Funzione di riserva: la membrana citoplasmatica dell’adipocita contiene la lipoproteinlipasi, un enzima che scalza i lipidi dalle loro proteine vettrici (lipoproteine epatiche o chilomicroni enterici) e scinde questi ultimi in glicerina ed acidi grassi; questi ultimi passano la membrana ed entrano nel citoplasma, dove sono riconvertiti in lipidi. La conversione in lipidi può essere anche fatta da glucosio. Inoltre, gli adipociti possiedono anche la lipasi ormone-dipendente, che agisce tagliando i trigliceridi in glicerina ed acidi grassi, su stimolo del glucagone, dell’adrenalina, della tiroxina, della triiodotironina e del neurotrasmettitore noradrenalina. Questo fa sì che i prodotti della lisi fuoriescano dalla cellula e s’attacchino all’albumina ematica per essere portati dove ce n’è bisogno

cartilagine elastica

La cartilagine elastica ha un colore giallastro, dovuto alla presenza delle fibre elastiche (che sono anche definite fibre gialle) ed è opaca a differenza della cartilagine ialina. Come informa il suo nome, è la tipologia di cartilagine più elastica e flessibile, ciò è dovuto ad una prevalenza della componente fibrosa rispetto a quella della matrice cartilaginea. Le fibre hanno struttura simile al connettivo denso elastico, per cui si ramificano in molte direzioni, non si aggregano in fasci, ma sono talmente dense da rendere invisibile la sostanza amorfa sottostante. La densità delle fibre è progressiva, maggiore nelle parti interne, minore in quelle esterne. Possiede pericondrio, così come la cartilagine ialina. Si colora con l'azzurro A e con i metodi specifici per elastina e fibrillina. Forma il padiglione auricolare, la tuba uditiva e l'epiglottide.

cartilagine fibrosa

La cartilagine fibrosa può essere considerata una forma intermedia tra un tessuto connettivo denso e la cartilagine ialina, con il primo tipo di tessuto ha in comune la presenza di spessi fasci di fibre collagene di tipo I, con il secondo la matrice cartilaginea, che tuttavia risulta piuttosto scarsa. Dal momento che le fibre collagene sono prevalenti si tratta di una cartilagine acidofila, che assume quindi coloranti acidi come il blu di bromofenolo. Le fibre collagene raggiungono lo spessore di 50-80 nm. Le cellule sono poche, disperse tra le fibre collagene o caratteristicamente allineate, sono circondate dalla matrice territoriale, scarsa invece quella interterritoriale. A differenza della cartilagine ialina, quella fibrosa non possiede pericondrio. Poiché possiede tratti comuni sia al connettivo propriamente detto che alla cartilagine non si tratta quasi mai di un tessuto "a se stante", ma continuo con entrambi, come si può riscontrare analizzando le inserzioni tendinee sulla cartilagine delle ossa; la cartilagine fibrosa inizia dove il tessuto connettivo denso inizia ad avere un'apprezzabile quantità di matrice interposta tra le fibre collagene. La cartilagine fibrosa è la costituente dell'anello fibroso dei dischi intervertebrali, della sinfisi pubica, delle zone di inserzione tra tendini e osso, dei menischi.

Cartilagine ialina Cartilagine fibrosa Cartilagine elastica

Il tessuto cartilagineo è un tessuto connettivo di sostegno specializzato. È costituito da cellule dette condrociti, immerse in un'abbondante sostanza amorfa intercellulare, da essi stessi sintetizzata, formata da fibre collagene e da una matrice amorfa gelatinosa. Le principali caratteristiche di questo tessuto sono la solidità, la flessibilità e la capacità di deformarsi limitatamente. La cartilagine forma l'abbozzo per la maggior parte delle ossa dello scheletro umano, nonché nelle metafisi durante l'accrescimento corporeo (cartilagine di coniugazione), le quali successivamente verranno mineralizzate e sostituite da tessuto osseo. Nell'adulto la cartilagine permane in corrispondenza delle superfici articolari, nei dischi intervertebrali, nello scheletro del padiglione dell'orecchio esterno, partecipa alla formazione della trachea e dei bronchi, nella sinfisi pubica e nei menischi. Si forma inoltre in seguito a fratture in qualsiasi fase della vita. In tutte le zone in cui è localizzata, fatta eccezione per le superfici articolari, la cartilagine è rivestita da un involucro costituito da tessuto connettivo denso fibroso detto pericondrio. La cartilagine non è vascolarizzata e non è innervata, la diffusione avviene invece attraverso la matrice. Le cartilagini vengono classificate in base alla quantità e alla costituzione della sostanza amorfa e in base alle fibre in essa presenti. Si distinguono perciò tre tipi di cartilagine:
Cartilagine ialina
Cartilagine fibrosa
Cartilagine elastica

Tipi di ossa - morfologia ossa

In base alla loro morfologia, possono essere distinte in quattro tipi: le ossa lunghe, le ossa corte, le ossa irregolari e le ossa piatte.
ossa lunghe, (forma magra e lunga), composte da un corpo o diafisi e due estremità dette epifisi. Nell'infanzia e nell'adolescenza è possibile distinguere, tra epifisi e diafisi, le metafisi o cartilagini di accrescimento. All’interno della diafisi, vi è una cavità detta cavità diafisaria occupata interamente da midollo osseo giallo, per lo più adiposo, che non concorre all'emopoiesi. Le pareti della cavità sono costituite da tessuto osseo compatto. Le epifisi sono costituite da tessuto osseo spugnoso, reso più resistente da trabecole ossee. All'interno delle epifisi si trova il midollo osseo rosso, responsabile dell'emopoiesi.
ossa corte, forma più o meno cuboide, costituite da tessuto osseo spugnoso circondato da uno strato sottile di tessuto osseo compatto; non contengono perciò midollo osseo
ossa irregolari, costituiscono raggruppamenti di ossa (vertebre, ossa facciali) con forme e dimensioni variabili; più nota è la rotula che appartiene alle ossa irregolari sesamoidi le quali si distinguono poiché sono isolate.
ossa piatte, costituite da uno strato di tessuto spugnoso frapposto tra 2 lamine di tessuto compatto. Il tessuto spugnoso può presentare delle lacune più grosse contenenti residui di tessuto emopoietico (zona considerata per le punture lombari).
Il midollo osseo occupa il canale delle ossa lunghe e gli spazi intertrabecolari delle ossa piatte e delle epifisi. Nella fase embrionale funge da organo emopoietico ed è di colore rosso vivo. Nell'adulto, solo il midollo del tessuto spugnoso mantiene tali caratteristiche, mentre il midollo della cavità diafisaria assume un colore giallognolo perché sostituito da tessuto ricco di sostanze lipidiche.
Negli esseri umani, un osso normale viene distrutto e ricostruito completamente ogni due mesi circa.
Negli uccelli le ossa sono cave internamente, cioè prive di midollo, per alleggerire il più possibile lo scheletro.
Nei Condroitti e nei Ciclostomi manca il tessuto osseo.
Negli Olostei manca la cartilagine.

Trapianto di cellule staminali ematopioetiche - donazione e trapianto del midollo osseo

Articolo principale: Hematopoietic stem cell transplantation (trapianto di cellule staminali ematopioetiche)
È possibile prelevare cellule staminali ematopoietiche da una persona e poi infonderle in un’altra persona (cellule allogeniche) o nella stessa persona in un tempo successivo (autologhe). Se donatore e ricevente sono compatibili, queste cellule infuse viaggiano poi fino al midollo osseo e iniziano la produzione di cellule ematiche. In casi di grave malattia del midollo osseo, viene fatto il trapianto da una persona all’altra (trapianto allogenico), ovviamente dopo averne accertato la compatibilità. Infatti, quando necessario, il midollo malato deve essere distrutto e sostituito mediante il cosiddetto "trapianto" con il midollo di un donatore sano compatibile. Saranno adeguate analisi effettuate dai Registri appartenenti alla rete del BMDW (Bone Marrow Donors Wordwide), collegati a Centri di Trapianto di Midollo Osseo, a provvedere alla ricerca di possibili donatori. In Italia il Registro Nazionale dei donatori volontari di midollo osseo si chiama IBMDR , riconosciuto con Legge dello Stato. Prima il midollo del paziente viene distrutto con farmaci e/o con radiazioni, poi vengono introdotte le nuove cellule staminali o il nuovo midollo prelevato al donatore. Talvolta, in casi di cancro, prima della radioterapia o della chemioterapia vengono prelevate dal paziente cellule staminali che poi, una volta terminata la terapia che uccide anche le cellule staminali, verranno reintrodotte per ripristinare il sistema immunitario. In questo caso si parla di autotrapianto.

esame del midollo osseo - esame istologico - esame citologico

L’esame del midollo osseo consiste nell’analisi patologica di un campione di midollo ottenuto tramite ‘’’biopsia’’’ (esame istologico) o ’’’aspirato’’’ (esame citologico). Con questi metodi è possibile diagnosticare tra le altre cose pure leucemia, mieloma multiplo, anemia e pancitopenia. Il midollo osseo produce le cellule del sangue: globuli bianchi, rossi e piastrine. Molte informazioni su di esse si posso ottenere testando il sangue stesso (ottenibile con un prelievo endovenoso), ma a volte è necessario esaminare la fonte delle cellule sanguigne per ottenere informazioni sull’ematopoiesi: questo è il ruolo di biopsia e aspirato del midollo osseo.
Per effettuare un ’’’aspirato’’’ del midollo di solito si usa un ago cavo per prelevare un campione di midollo osseo rosso dalla cresta iliaca in anestesia locale o generale. L’aspirato viene poi strisciato su un vetrino e colorato, così da poterlo osservare al microscopio. La ’’’biopsia’’’ midollare si effettua con un piccolo trapano: con esso si preleva dalla cresta iliaca un cilindretto di tessuto midollare. I due esami sono complementari e vengono spesso effettuati contemporaneamente.

Malattie del midollo osseo - tumori maligni - tubercolosi - neuroblastoma - osteomielite

La normale architettura del midollo osseo può essere rovinata da tumori maligni o da infezioni come la tubercolosi, che portano a una diminuzione della produzione di cellule ematiche e piastrine. Inoltre possono sorgere cancri delle cellule progenitrici ematologiche nel midollo osseo: le leucemie. Altre possibili malattie del midollo sono le sindromi mielodisplastiche, il neuroblastoma e l'osteomielite. Anche le radiazioni ed alcuni medicamenti come ad esempio molti citostatici, sulfamidici, antipirina possono provocare danni al midollo osseo. L’esposizione a radiazione o alla chemioterapia uccide molte delle cellule a rapida divisione del midollo osseo, e da ciò consegue un sistema immunitario depresso. Molti dei sintomi della malattia da radiazione sono dovuti a danno delle cellule del midollo osseo.

di midollo osseo: il midollo osseo rosso - midollo osseo giallo

Ci sono due tipi di midollo osseo: il midollo osseo rosso (costituito principalmente da tessuto mieloide) e il midollo osseo giallo (costituito soprattutto da tessuto adiposo che ne determina il colore). Globuli rossi, piastrine e la maggior parte dei leucociti vengono prodotti nel midollo rosso, alcuni leucociti si sviluppano nel midollo giallo. Entrambi i tipi di midollo osseo contengono una grande quantità di vasi sanguigni e capillari.
Alla nascita, l'intera quantità di midollo osseo è costituita da quello di tipologia rossa. Con la crescita, gran parte di questo viene convertito nella tipologia gialla. In un individuo circa la metà è costituita da midollo rosso. Quest'ultimo si trova principalmente nelle ossa piatte come il bacino, lo sterno, il cranio, le coste, vertebre, scapole, e nel tessuto spugnoso delle epifisi delle ossa lunghe, come il femore e l'omero. Il midollo giallo si trova invece nella diafisi delle ossa lunghe.
Nel caso di una grave emorragia, l'organismo è in grado di riconvertire il midollo giallo in quello rosso, al fine di incrementare la produzione delle cellule del sangue.

Terapia Leucemia - trapianto del midollo osseo - prednisone

Il trattamento di scelta è la chemioterapia più o meno associata alla radioterapia. Spesso si rende necessario il trapianto del midollo osseo dopo Megachemioterapia +/-TBI. I farmaci principali fino agli anni '80 erano la 6-mercaptopurina (6-MP) e la 6-tioguanina (6-TG), due analoghi del DNA molto efficaci, il metotrexate (analogo dell'acido folico che interferisce con la sintesi degli acidi nucleici), la mecloretamina (un agente alchilante ma molto tossico) e gli steroidi, soprattutto il prednisone.
Oggi vengono impiegati farmaci migliori per quanto riguarda il profilo tossicologico ed associati in combinazioni "sinergiche". Il termine sta ad indicare che i due farmaci, quando dati assieme mostrano un'efficacia superiore rispetto alla loro somministrazione singola. Il risultato è una minore tossicità per il paziente.
Il metotrexate è rimasto il cardine del trattamento nella maggioranza delle forme, ma oggi è in sperimentazione clinica anche un derivato più efficace chiamato pemetrexed. Viene per lo più associato con l'antibiotico citotossico Adriamicina o suoi derivati, alcune nitroso-uree e gli alcaloidi anti-neoplastici vinblastina e vincristina. Di recente un chemioterapico di nuova concezione, l'Imatinib (o Glivec), ha dimostrato una notevole efficacia nei casi di leucemia mieloide cronica.

Diagnosi Lucemia - esame del sangue - prelievo di midollo osseo

Esame emocromocitometrico completo (esame del sangue) (numero dei globuli rossi, globuli bianchi e piastrine, livello di Hb) e determinazione dei parametri ematochimici (azotemia, glicemia, uricemia, transaminasi);
Striscio di sangue periferico (esame al microscopio di campione di sangue per accertare presenza di blasti);
analisi citogenetica (studio dei cromosomi dei blasti presenti nel midollo osseo);
biologia molecolare;
prelievo di midollo osseo per prelevare frammenti di tessuto da analizzare
analisi immunofenotipica (tramite citometria a flusso delle cellule presenti in un campione di sangue o midollo osseo allo scopo di identificarle sulla base di specifici Ag di superficie).

Sintomi Leucemia Astenia, anemia, facile affaticabilità, pallore cutaneo, dispnea

Astenia, anemia, facile affaticabilità, pallore cutaneo, dispnea (da mancanza di globuli rossi), palpitazioni (da anemia), rigonfiamento dei linfonodi (i più esposti sotto l'ascella e vicino alla clavicola, sopra il collo). Vaghi disturbi addominali, con anoressia, sensazione di precoce riempimento dello stomaco ai pranzi, dolori al fianco sinistro, ovvero alla milza (splenomegalia). Febbricola, sudorazioni eccessive specialmente se notturne, calo di peso, dolori ossei o muscolari (in caso di notevole massa tumorale), possibile ingrossamento del fegato. Inoltre si possono osservare febbre, emorragie (da piastrinopenia), soprattutto dal naso e anche gengive ed accentuazione dei sintomi sopra ricordati.

Cause Lucemia

Radiazioni ionizzanti; (soggetti trattati con radioterapia per altre neoplasie). È anche da ricordare il tragico bilancio di casi di leucemia tra i sopravvissuti delle esplosioni di Hiroshima e Nagasaki.
Benzene; presente nel petrolio e nella benzina, ampiamente usato in passato come solvente per vernici ed ora quasi del tutto bandito. Il meccanismo con cui questa semplice molecola provoca leucemie, è stato ampiamente studiato in modelli animali sperimentali. Esso necessita di una conversione ossidativa in derivati vari (1,4-benzochinone, 1,2,4-tri-idrossibenzene, ecc.) che poi reagiscono col DNA in modo covalente provocando interferenza con i processi di replicazione e di riparo dell'acido nucleico.
Alcuni farmaci usati per la cura di tumori, specie se in combinazione con radioterapia, possono aumentare il rischio di leucemia "secondaria". Sicuramente i farmaci più a rischio sono gli agenti "alchilanti" (clorambucile, ciclofosfamide, nitrosouree).
Il fumo di sigaretta (1/4 di tutte le AML si verificano tra fumatori; ciò che corrisponde alla media statistica dei fumatori nelle società occidentali). È probabile che il benzopirene, le aldeidi tossiche e certi metalli pesanti (come cadmio e piombo) nel fumo di sigaretta siano i fattori maggiormente responsabili.
Alcune malattie come la sindrome di Down, l'anemia di Fanconi, l'atassia-teleangectasia e la sindrome di Bloom. In questo caso, la mutazione genetica di alcune di queste patologie e' a carico di proteine coinvolte nel riparo del DNA. Il rischio di sviluppare una leucemia in queste malattie, dipende dunque da una minore efficienza dell'organismo di riparare il DNA dopo certe lesioni

leucemia insieme di malattie maligne - tumori

La leucemia è un termine con il quale si indica un insieme di malattie maligne, vari tipi di tumori caratterizzati dalla proliferazione neoplastica di una cellula staminale emopoietica. Col termine leucemia viene quindi comunemente indicato il tumore "del sangue".
Le cellule staminali emopoietiche, che si trovano nel midollo osseo rosso, danno origine a due linee cellulari:
La linea mieloide, da cui originano i globuli rossi, alcuni tipi di globuli bianchi (granulociti e monociti) e le piastrine.
La linea linfoide, da cui originano i linfociti (un altro tipo di globuli bianchi).
A seconda della linea cellulare verso cui evolve il clone leucemico si parla di leucemia mieloblastica (LM) o leucemia linfoblastica (LL). All'interno di queste due suddivisioni si fa un'altra importante distinzione basata sul decorso della malattia: distinguiamo pertanto leucemie acute e leucemie croniche. Il quadro clinico della leucemia è dovuto essenzialmente all'invasione del midollo da parte del clone neoplastico e alla conseguente distruzione delle cellule emopoietiche normali: il paziente affetto da leucemia sviluppa dunque anemia (per insufficiente produzione di globuli rossi), infezioni frequenti e gravi (per ridotta produzione di globuli bianchi) ed emorragia (per ridotta produzione di piastrine). La leucemia acuta non trattata ha una prognosi rapidamente infausta, ma risultati soddisfacenti sono stati raggiunti con la chemioterapia e l'eventuale trapianto di midollo osseo, tanto da raggiungere una guarigione in alcuni casi (leucemia linfatica acuta common del bambino) anche nell'80% dei pazienti. La leucemia cronica rappresenta invece quadri molto eterogenei, tanto che è possibile che non influenzi nemmeno l'aspettativa di vita (leucemia linfatica cronica in stadio precoce).

Cellule staminali tumorali

Recenti scoperte sembrano portare ad applicare il concetto di cellula staminale anche nel campo dell'oncologia. Secondo questa teoria, la massa tumorale sarebbe composta da un gran numero di cellule capaci di proliferare solo in maniera limitata e da una rara popolazione di cellule in grado di proliferare a lungo e mantenere il tumore. Queste ultime vengono dette cellule staminali tumorali.

La prima prova a favore della teoria della cellula staminale tumorale è stata suggerita da esperimenti effettuati nella leucemia mieloide acuta. Si è osservato che non era possibile far crescere cellule tumorali in un topo se la concentrazione con cui le si iniettava era troppo bassa. D'altro canto, si è potuto identificare una rara popolazione di cellule tumorali dotate di particolari caratteristiche (espressione di antigeni di membrana) che sono in grado di prosperare e riprodurre la malattia anche se iniettate in numero esiguo. Inoltre le cellule cui era stata tolta questa popolazione non erano in grado di crescere nel topo in nessun caso.

La cellula staminale tumorale deve possedere due proprietà fondamentali: essere capace di auto-rinnovarsi e di differenziarsi in cellule più mature (divisione asimmetrica)

Banche di cellule da liquido amniotico

Si tratta di una tematica molto attuale, che vede soggetti privati e pubblici attivi anche sul territorio italiano, dove attualmente non esiste una legislazione sul tema, dal momento che le cellule amniotiche non sollevano dilemmi etici tra donazione e conservazione per il bambino.
Vista l'alta capacità moltiplicativa, le staminali da liquido amniotico si possono conservare per se stessi autorizzando al contempo la possibilità di utilizzo per altri soggetti compatibili.
Le cellule amniotiche non rientrano concettualmente nella linea legislativa del sangue e dei suoi derivati, pertanto la loro conservazione è consentita in tutto il mondo.
Le cellule vengono estratte da un campione prelevato durante l'amniocentesi, pratica a pagamento per le donne under 35, che implica un rischio generalizzato di aborto pari all'1% dei casi, successivamente amplificate ed espanse in laboratorio.
La speranza è che le numerose ricerche in corso aprano la possibilità di utilizzo delle cellule amniotiche nel trattamento e nella cura di numerose patologie, dalle malformazioni fetali a malattie degenerative e a disordini di tipo genetico, anche se lo stadio attuale della ricerca è ancora molto precoce.

Le cellule staminali adulte sono cellule non specializzate che si riproducono giornalmente per fornire alcune specifiche cellule

Cellule staminali sono presenti anche nell'individuo adulto.
Le cellule staminali adulte sono cellule non specializzate che si riproducono giornalmente per fornire alcune specifiche cellule: ad esempio 200 miliardi di globuli rossi sono generati ogni giorno nel corpo da cellule staminali emopoietiche. Fino a poco tempo fa si pensava che ognuna di queste cellule potesse produrre unicamente un tipo particolare di cellula: questo processo è chiamato differenziazione (vedi morfogenesi). Tuttavia negli ultimi anni si sono avute prove che le cellule staminali possono acquisire molte forme differenti: è noto che cellule staminali nello stroma del midollo osseo possono trasformarsi in cellule epatiche, neurali, muscolari, renali e follicolari. Caratteristiche molto simili o identiche si ritrovano anche nelle cellule staminali contenute nel tessuto adiposo, presenti in abbondanza e facilmente prelevabili con una semplice lipoaspirazione. il lipoaspirato può essere processato anche immediatamente e rappresenta oggi la fonte più promettente di cellule staminali adulte mesenchimali
Le cellule staminali adulte potrebbero anche essere più versatili. Ricercatori alla New York University School of Medicine hanno estratto cellule staminali dal midollo osseo di topi che loro dicono essere pluripotenti. Trasformare un tipo di cellula staminale in un altro si chiama transdifferenziazione.
Utili fonti di cellule staminali adulte sono in realtà localizzabili in tutti gli organi del corpo. Ricercatori alla McGill University di Montréal hanno ricavato cellule staminali dalla pelle capaci di specializzarsi in molti tipi di tessuto, compresi neuroni, cellule muscolari lisce e cellule adipose. Esse sono state trovate nel derma, lo strato più profondo della pelle: queste cellule staminali giocano un ruolo centrale nella rimarginazione di piccoli tagli. Si ritiene che anche i vasi sanguigni, la polpa dentaria, l'epitelio digestivo, la retina, il fegato ed anche il cervello contengano cellule staminali, utili per la rigenerazione dello stesso sistema nervoso centrale, cervello e midollo spinale. In Italia, attraverso il Registro Nazionale dei donatori di Midollo Osseo, "IBMDR", è possibile rintracciare un donatore volontario di cellule staminali adulte, per la cura varie malattie, tra cui la leucemia.

Il sangue residuo della placenta e del cordone ombelicale costituisce una fonte di cellule staminali

Il sangue residuo della placenta e del cordone ombelicale costituisce una fonte di cellule staminali emopoietiche adulte. Dal 1988 queste cellule staminali da cordone ombelicale sono impiegate per curare il morbo di Gunther, la sindrome di Hurler, la leucemia linfocitica acuta e molte altre patologie che interessano in particolare i bambini. Il sangue è raccolto dal cordone ombelicale - sia in caso di parto spontaneo che di taglio cesareo - facendo un prelievo (in circuito chiuso sterile) dalla vena ombelicale. Una volta raccolto, ne viene calcolato il volume e la quantità di globuli bianchi, che non devono essere inferiori, rispettivamente, a 60 ml e 800 milioni (la quantità dei bianchi minimi alla raccolta è spesso diversa da banca a banca, è però comunemente accettato il fatto che ad unità congelata non debbano essere inferiori a 800 milioni).
Questo sangue non viene analizzato direttamente per agenti infettivi, in quanto gli esami sierologici vengono effettuati sulla partoriente, al parto e a sei mesi dalla donazione. Viene eseguita però la caratterizzazione HLA per determinare se il ricevente sia compatibile o meno con il tessuto ricevuto. I risultati della tipizzazione HLA vengono pubblicati su dei database mondiali - per es. BMDW - accessibili da centri trapianto autorizzati per poter "avviare" una ricerca di tessuto compatibile con il proprio paziente. Il sangue da cordone subisce trattamenti ed è deprivato dei globuli rossi prima di essere conservato in azoto criogenico a una temperatura compresa tra -130 e -196° centigradi per un futuro utilizzo. Al momento del trapianto, il sangue viene scongelato, vengono filtrate le sostanze criopreservanti e somministrato al paziente per endovena o nella cresta iliaca.
Questo genere di terapia, in cui le cellule staminali sono ottenute da un donatore estraneo, è detta allogenica o eterologa. Quando le cellule sono ricavate dallo stesso paziente sul quale saranno utilizzate la conservazione è detta autologa e quando provengono da individui identici, è chiamata singenica. Il trasferimento xenogenico, quindi tra animali appartenenti a diverse specie, è molto poco sviluppato e si ritiene abbia scarse possibilità.
In Italia la conservazione per uso "personale", o più precisamente per uso intrafamiliare, è consentita solo nel caso in cui, al momento del parto, siano presenti nel neonato, nella fratria o nei genitori del neonato stesso, delle patologie che abbiano l'indicazione al trapianto con cellule staminali da sangue placentare. In questo caso si parla di conservazione dedicata (o più propriamente, di uso autologo e uso allogenico correlato) ed è sufficiente presentare un certificato medico degli specialisti che seguono la persona malata.
Per le conservazioni dedicate i criteri di selezione e di esclusione dell'unità dalla raccolta e dal congelamento sono meno rigidi rispetto alle comuni conservazioni.
In caso diverso è comunque consentito, previa autorizzazione delle autorità competenti (vedi Decreto ministeriale del 18 novembre 2009 pubblicato sulla G.U. del 31 dicembre 2009), raccogliere il sangue placentare e spedirlo all'estero a pagamento per la criopreservazione presso laboratori privati, pratica vietata in Italia.

Cellule staminali amniotiche - liquido amniotico

Le cellule staminali amniotiche possono essere ottenute dal campione residuo prelevato per l'effettuazione dell'esame di diagnosi prenatale facoltativa denominato "amniocentesi". Dal residuo del liquido non utilizzato per l'esame diagnostico si ricavano cellule staminali multipotenti e di grande vitalità, in grado di moltiplicarsi centinaia di volte e capaci di differenziarsi in vari tessuti adulti.
Rispetto alle embrionali, le staminali amniotiche non hanno suscitato problemi etici e - elemento fondamentale dal punto di vista medico - possono essere utilizzate ad uso autologo, cioè direttamente sull'individuo stesso. Questo fatto - che non è attuabile con quelle embrionali, poiché l'embrione da cui originano è stato distrutto - permette una assoluta compatibilità con il "proprietario", senza alcun problema di rigetto.
Il rigetto si può evitare anche con le cellule staminali adulte, ma queste ultime sono più "anziane", con minori capacità differenziative e meno dinamiche rispetto a quelle embrionali, fetali o amniotiche.
Numerosi istituzioni universitarie e centri di ricerca nel mondo sono impegnati a studiare le cellule amniotiche, la cui scoperta è molto recente e le cui potenzialità sono tuttora oggetto di continue scoperte. Ad oggi si ipotizza che queste cellule possano differenziarsi in molti tessuti come quelli cartilaginei, ossei, adiposi, neurali. Esiste una recente pubblicazione di un gruppo franco-italiano ha permesso di differenziare le staminali amniotiche in staminali emopoietiche.
Società private propongono la conservazione a pagamento delle cellule staminali che potrebbero essere utilizzate per il proprietario stesso o per i parenti più stretti (in alcuni casi).
In sintesi, è possibile affermare che le cellule staminali presenti nel liquido amniotico siano in grado di differenziarsi in molti tipi di cellule adulte, conservando caratteristiche di "gioventù" uniche nel percorso biologico dell'individuo.
Riguardo al dibattito etico, l'uso delle cellule amniotiche non presenta controindicazioni e i principali quotidiani cattolici, da "L'Avvenire" all'autorevole "Osservatore Romano", quotidiano ufficiale della Chiesa Cattolica, si sono espressi favorevolmente

Cellule staminali fetali - amniotiche - embrionali - adulte

Le cellule staminali adulte sono cellule non specializzate reperibili tra cellule specializzate di un tessuto specifico e sono prevalentemente multipotenti. Queste sono tuttora già utilizzate in cure per oltre cento malattie e patologie. Sono dette più propriamente somatiche (dal Greco σῶμα; sôma = corpo), perché non provengono necessariamente da adulti ma anche da bambini o dai cordoni ombelicali (sia dal sangue del cordone che dal tessuto del cordone stesso)
Le cellule staminali embrionali sono ottenute a mezzo di coltura, ricavate dalle cellule interne di una blastocisti. La ricerca sulle cellule staminali embrionali è ancora ai primi stadi: fare ricerca con cellule umane di questo tipo è una questione controversa: l'utilizzo di cellule staminali embrionali ha sollevato un grosso dibattito di carattere etico. Difatti per poter ottenere una linea cellulare (o stirpe, o discendenza) di queste cellule si rende necessaria la distruzione di una blastocisti, un embrione non ancora cresciuto sopra le 150 cellule; tale embrione è ritenuto da alcuni un primitivo, od almeno potenziale, essere umano, la cui distruzione equivarrebbe all'uccisione di un essere umano già concepito. Il dibattito vede dunque contrapposti coloro che preferiscono adottare, proprio per la mancanza di certezze sul momento in cui possa individuarsi la nascita dell'"essere umano", una posizione prudente e contraria all'utilizzo degli embrioni umani per fini di ricerca, e coloro che condividono e sostengono la necessità di ricerca sulle cellule embrionali umane pur essa implicando la distruzione dell'embrione fermo restando che sarebbero utilizzati solo embrioni congelati che sarebbero poi distrutti per la perdita della loro efficacia. Questi embrioni sono le "rimanenze" di inseminazioni artificiali e circa il loro utilizzo in campo di ricerca la loro potenzialità potrebbe essere sfruttata per una ipotetica terapia di un maggior numero di patologie. Tutto ciò è già possibile negli U.S.A., grazie a finanziamenti soprattutto privati.
Le cellule staminali amniotiche si trovano nel liquido amniotico che circonda il feto durante la gestazione. Le cellule staminali amniotiche hanno caratteristiche biologiche molto simili alle staminali embrionali, ma non hanno le controindicazioni di tipo etico legate alla distruzione dell'embrione. La ricerca su queste cellule è molto recente, ma sono molte le patologie per le quali è prevista l'applicazione sull'uomo: dalle malattie della retina, al diabete, alle malattie neurodegenerative, alla chirurgia ricostruttiva, alle malattie rare... . Esistono, sia in Italia che all'estero, centri pubblici e banche private che conservano le cellule staminali amniotiche in vista di un utilizzo autologo.
Le cellule staminali fetali con caratteristiche multipotenti, sono presenti nell'utero, nel corso dello sviluppo fetale, e vengono ottenute da feti abortiti spontaneamente o da interruzioni di gravidanza.

Tipi di cellule staminali

In base alle potenzialità si possono distinguere quattro tipi di cellule staminali:
Una singola cellula staminale totipotente può svilupparsi in un intero organismo e persino in tessuti extra-embrionali. I blastomeri posseggono questa proprietà.
Le cellule staminali pluripotenti, possono specializzarsi in tutti i tipi di cellule che troviamo in un individuo adulto ma non in cellule che compongono i tessuti extra-embrionali.
Le cellule staminali multipotenti sono in grado di specializzarsi unicamente in alcuni tipi di cellule.
Le cellule staminali unipotenti possono generare solamente un tipo di cellula specializzata.
Le cellule staminali sono anche classificate secondo la sorgente di derivazione, come embrionali, fetali, amniotiche e adulte.

Cellule staminali

Le cellule staminali sono cellule primitive non specializzate dotate della singolare capacità di trasformarsi in diversi altri tipi di cellule del corpo. Molti ricercatori sostengono che le cellule staminali potranno potenzialmente rivoluzionare la medicina, permettendo ai medici di riparare specifici tessuti o di riprodurre organi.

Sebbene le cellule staminali siano dotate di un potenziale replicativo illimitato, sono normalmente quiescenti (fase G0 del ciclo cellulare) e solo di rado entrano in mitosi (fa eccezione lo sviluppo embrionale). Infatti la parte più consistente del "lavoro replicativo" che porta all'incremento numerico della progenie delle cellule staminali in funzione dell'accrescimento o della riparazione dei tessuti, viene svolto da cellule non staminali definite progenitori o transit amplifying cells (TAC), derivate direttamente dalle cellule staminali, ma parzialmente differenziate e prive della capacità di autorinnovamento. Questa strategia replicativa, che limita il numero di eventi replicativi a cui una cellula staminale va incontro, si fonda probabilmente su due importanti principi tra loro collegati:
Stretto controllo del numero di cellule staminali: ogni cellula staminale occupa una propria nicchia biologica definita da un complesso network di segnali biochimici, che probabilmente forniscono anche alla cellula staminale le informazioni necessarie sul momento opportuno per replicarsi.
Conservazione dell'integrità del genoma delle cellule staminali: un basso numero di replicazioni riduce il rischio di danni al DNA, cioè di mutazioni. Le mutazioni a carico delle cellule staminali sono estremamente nocive e pericolose, poiché:
vengono trasmesse a tutte le generazioni di cellule figlie derivate da quella cellula staminale. Al contrario una mutazione in una TAC si ripercuote solo su di una singola generazione di cellule, che eventualmente dopo un certo tempo verrà comunque sostituita.
possono indurre la cellula staminale a degenerare in senso neoplastico, diventando una cellula staminale tumorale, cioè una tipologia di cellula probabilmente responsabile del continuo rifornimento di nuove cellule che caratterizza lo sviluppo e soprattutto le recidive dei tumori.

Funghi buoni e funghi velonosi

I funghi commestibili, in senso comune sono in genere un'ampia gamma di specie di macromiceti. Molti sono commercialmente coltivate, ma altre devono essere raccolte in natura. Agaricus bisporus, venduto come fungo champignon, dal termine francese indicante genericamente i funghi macroscopici è una specie comunemente mangiata, viene usato in insalate, minestre, e molti altri piatti. Molti funghi asiatici son coltivati su scala commerciale e hanno via via aumentato in popolarità in Occidente. Spesso sono disponibili freschi in negozi e supermercati, tra cui funghi di muschio ( Volvariella volvacea), funghi ostrica (Pleurotus ostreatus), la Lentinula edodes e le Flammulina spp..
Ci sono molte più specie di funghi che vengono raccolti dal loro ambiente naturale per il consumo personale o per la vendita commerciale. Prataioli, spugnole, finferli, tartufi, trombette, galletti e funghi porcini ( Boletus edulis ) e la domanda impone un prezzo elevato sul mercato. Essi sono spesso utilizzati nei piatti d'alta cucina e di cucina tipica.
Alcuni tipi di formaggi richiedono l'inoculazione di cagliata di latte con le specie fungine che conferiscono un sapore unico e la consistenza particolare del formaggio. Alcuni esempi sono il blu di formaggi come Stilton e Roquefort , che sono fatti per inoculazione con Penicillium roqueforti. I ceppi utilizzati nella produzione di formaggio non sono tossici e sono quindi sicuri per il consumo umano, tuttavia, micotossine come aflatossine, roquefortine C , patulina, o altre possono accumularsi a causa della crescita di altri funghi durante la stagionatura e la conservazione errata.
Molte specie di funghi sono velenose per l'uomo, con tossicità che producono da lievi problemi digestivi o allergici fino a più gravi come le allucinazioni, gravi danni di organi (spesso il fegato) e la morte.
Generi di funghi contenenti tossine letali includono Conocybe , Galerina , Lepiota , e la più pericolosa, Amanita, che comprende anche specie commestibili. Quest'ultimo comprende A. virosa e A. phalloides , la causa più comune di avvelenamenti mortali da funghi. La Gyromitra esculenta è a volte considerata una prelibatezza quando è cotta, ma può esser molto tossica se mangiata cruda. Il Tricholoma equestre è stato considerato commestibile fino a essere implicato in avvelenamenti gravi, causando rabdomiolisi.
L'Amanita muscaria è anche causa occasionale di avvelenamenti, per lo più a seguito di ingestione per l'uso come droga, per i suoi effetti allucinogeni dovuti a fenomeni tossici. Storicamente, questa specie è stata utilizzata da diversi popoli in Europa e Asia e il suo utilizzo religioso o sciamanico.L'uso viene segnalato in alcuni gruppi etnici come il popolo Koryak del nord-est della Siberia. Poiché è difficile individuare con precisione un fungo sicuro, senza un'adeguata formazione e conoscenza, è spesso consigliato di assumere che un fungo selvatico sia velenoso e quindi non consumarlo.
I Funghi vanno comunque consumati, in genere e se non se ne è mai fatto un uso precedente, saltuariamente ed in modiche quantità in quanto spesso contengono carboidrati complessi e poco comuni negli altri alimenti, primo tra tutti, la chitina, che appesantiscono il lavoro dell'apparato digerente. La risposta dell'organismo a simili stimoli è spesso strettamente individuale, escludendo i casi di allergia ed intolleranza alimentare, la dotazione enzimatica dell'organismo umano atta a digerire queste molecole è estremamente variabile e personale.

Classificazione Funghi

Secondo Ainsworth et al. (1973) il regno dei Funghi veniva suddiviso in due divisioni Myxomycota ed Eumycota. In quest'ultima gli autori individuavano cinque sottodivisioni: Mastigomycotina, Zygomycotina, Ascomycotina, Basidiomycotina e Deuteromycotina.
Nella più moderna rivisitazione del Regno dei Funghi (Hawksworth et al., 1995) vengono accettati come componenti solo quattro divisioni (Ascomycota, Basidiomycota, Chytridiomycota e Zygomycota) di cui si elencano di seguito i sottordinati taxa:
Divisione Ascomycota
Classe Ascomycetes
Ordine Elaphomycetales, Helotiales, Pezizales, Sphaeriales, Tuberales
Classe Dothiomycetes
Classe Pneumocystidomycetes
Classe Saccharomycetes
Classe Schizosaccharomycetes
Classe Taphrinomycetes
Divisione Basidiomycota
Classe Basidiomycetes
Sottoclasse Aphyllophoromycetidae
Ordine Cantharellales, Clavariales, Corticiales, Ganodermatales
Ordine Hericiales, Hymenochaetales, Polyporales, Thelephorales
Sottoclasse Gasteromycetidae
Ordine Lycoperdales, Sclerodermatales, Nidulariales, Phallales
Sottoclasse Hymenomycetidae
Ordine Agaricales, Amanitales, Boletales, Cortinariales
Ordine Entolomatales, Pluteales, Russulales, Tricholomatales
Sottoclasse Phragmomycetidae
Ordine Calocera
Divisione Chytridiomycota
Divisione Zygomycota

Patologie dei funghi

Certe specie di funghi possono causare patologie all'uomo, agli animali e alle piante. Per l'uomo e gli animali sono patogeni alcuni funghi microscopici, che sono causa di micosi. Le piante sono invece attaccate da parecchi funghi, che causano diverse patologie: marciumi alle radici, come i funghi del genere Armillaria o Rosellinia; marciumi al colletto, come quelli causati da Phytophthora o Pythium; presenza di muffe sulle foglie, come nel caso dell'oidio della vite; marciumi sui frutti, come i funghi del genere Monilinia; disseccamenti dei rami, come i funghi del genere Fusarium o Verticillium. La peronospora è sicuramente un patogeno ma non è più ormai classificata nel regno dei funghi.

Nutrimento Funghi

Tutti i funghi sono eterotrofi, cioè ricavano le sostanze nutritive dall'ambiente esterno assorbendole attraverso le pareti; essi rivestono un ruolo ecologico importantissimo perché sono in grado di decomporre il materiale organico presente nel terreno.
Essi costituiscono un anello importantissimo dell'ecosistema, in quanto permettono la chiusura del ciclo della materia rendendola nuovamente disponibile all'organicazione da parte delle piante verdi.
L'eterotrofia dei funghi li costringe sempre ad un tipo di vita dipendente che si può differenziare in tre modalità, distinte in base ai rapporti del fungo stesso con il substrato di crescita: saprofitismo, parassitismo e mutualismo.
A seconda delle loro esigenze nutritive i funghi si dividono in saprofiti, parassiti e simbionti o mutualistici.

Riproduzione Funghi

La riproduzione asessuata può avvenire per:
scissione
come avviene nei lieviti (Ascomycota), consiste nella divisione della cellula madre in due cellule figlie uguali, con lo stesso patrimonio genetico attraverso un processo chiamato mitosi. I funghi che adottano questo sistema riproduttivo hanno un accrescimento esponenziale.
gemmazione
comune anch'essa nei lieviti, è un sistema in cui le cellule figlie compaiono come protuberanze (gemme) della cellula madre dalla quale poi si possono distaccare diventando autonome o possono restare attaccate formando una colonia; è diversa dalla scissione in quanto nella gemmazione avviene una ripartizione diseguale del citoplasma.
frammentazione
avviene con il distacco di una parte più o meno sviluppata che si accresce in maniera indipendente.
sporogenesi
attraverso un processo mitotico vengono prodotte spore (mitospore), capaci di generare un nuovo individuo, in cellule specializzate (sporocisti). Le mitospore, protette da una spessa parete, possono essere mobili e flagellate (zoospore), oppure no (aplanospore). In alcuni gruppi di funghi vengono prodotte un particolare tipo di aplanospore esternamente alla sporocisti, chiamate conidiospore.

Funghi Tossici

Il regno dei funghi (in latino Fungi) o miceti, classificati scientificamente da Linneo nel 1753, inizialmente accorpati alle Piante e poi elevati al rango di regno da Nees nel 1817 e con i criteri attuali da Whittaker nel 1968, comprende più di 100.000 specie di organismi aventi le seguenti caratteristiche:
Alimentazione eterotrofa
Completa mancanza di tessuti differenziati e di elementi conduttori
Sistema riproduttivo attraverso elementi detti spore (e non attraverso uno stadio embrionale come avviene per animali e piante)
Altri organismi storicamente classificati come Funghi sono tutt'ora di classificazione incerta: alcuni autori li classificherebbero nel Regno Protista o Protoctista, che comprenderebbe organismi unicellulari delle classi Plasmodiophoromycetes e Myxomycetes. Thomas Cavalier-Smith ha proposto anche un sesto regno (Chromista), comprendente le classi dei Hyphochytridiomycetes e Oomycetes.
La classificazione dei funghi è stata sottoposta a molti cambiamenti negli ultimi anni, come conseguenza dell’intensificazione degli studi. L’avvento degli studi molecolari ha fortemente contribuito, negli ultimi 10-15 anni a produrre un ordinamento sistematico più obiettivo, basato sulla filogenesi, ordinamento che promette un maggior grado di stabilità.

Solvente - liquido che scioglie un soluto solido

Un solvente è un liquido che scioglie un soluto solido, liquido o gassoso, dando luogo ad una soluzione. In altre parole, un solvente è il componente di una soluzione che si presenta nello stesso stato di aggregazione della soluzione stessa. Il solvente più comune è l'acqua. Il solvente è quella sostanza presente in maggior quantità in una soluzione.
I solventi in genere hanno un basso punto di ebollizione ed evaporano facilmente o possono essere rimossi per distillazione, lasciando ciò nonostante la sostanza disciolta intatta. I solventi non dovrebbero dunque reagire chimicamente con il soluto (ovvero devono essere chimicamente inerti). I solventi possono anche essere utilizzati per estrarre composti solubili da un miscuglio.
I solventi sono solitamente liquidi chiari e incolori e spesso presentano un odore caratteristico. La concentrazione di una soluzione è l'ammontare di composto disciolto in un certo volume di solvente. La solubilità è l'ammontare massimo di composto solubile in un certo volume di solvente a data temperatura.
Il termine solvente organico si riferisce ai solventi che sono composti organici. Usi comuni dei solventi organici sono nel lavaggio a secco (es. tetracloroetilene), come colle (es. acetone, acetato di metile, acetato di etile) come rimotori di macchie (es. esano), nei detergenti, profumi e soprattutto nelle sintesi chimiche.

Pesticida - respingere o distruggere gli organismi viventi

Pesticida è un termine generico utilizzato per designare tutte le sostanze capaci di controllare, limitare, respingere o distruggere gli organismi viventi (microrganismi, animali o vegetali) considerati come nocivi, o di opporsi al loro sviluppo.


Il termine "pesticida" è più generico dell'espressione "fitofarmaco" poiché ingloba oltre ai prodotti destinati alla protezione delle piante, anche i prodotti ad uso veterinario destinati a proteggere gli animali domestici e da compagnia (ad esempio, il collare antipulci per cani).
Il termine è improprio, derivante dalla traduzione dall'inglese pesticide, seguendo lo stesso modello. Inoltre molto spesso se ne fa un utilizzo strumentale, ovvero lo si usa quando si vuole esprimere un giudizio negativo, quando si vuole apportare una nota polemica all'argomento. Il termine è ormai entrato nel linguaggio comune, a causa dell'ampio utilizzo che ne è stato fatto da parte dei media, e a volte lo si ritrova anche a livello accademico.


La legislazione europea o italiana non riconosce il termine pesticida; al contrario definisce precisamente il significato di biocida, di prodotto fitosanitario e di prodotto antiparassitario contro le avversità delle colture.


Gli effetti dovuti all'uso di pesticidi sull'ambiente e sulla salute sono stati oggetto di dibattito a livello europeo. Il Parlamento Europeo ha adottato recentemente due nuove direttive sull'autorizzazione e la vendita di pesticidi. È stata inoltre stilata una lista di sostanze pericolose, presenti in alcune antiparassitari, il cui uso è stato vietato per pericolosi usi.

Tossicologia - intossicazione e degli enzimi coinvolti nel loro metabolismo

Compito primo della tossicologia è comprendere l'azione diretta o indiretta delle sostanze coinvolte in episodi di intossicazione e degli enzimi coinvolti nel loro metabolismo. Molte sostanze considerate veleni sono infatti tossiche solo indirettamente. Un esempio è il metanolo che non è velenoso di per sé ma solo in quanto convertito in formaldeide nel fegato. Sono molte poi le sostanze le cui molecole diventano tossiche nel fegato per l'azione combinata di altre sostanze esterne, come nel caso del paracetamolo in presenza di alcol. Inoltre, a causa dei meccanismi di stimolazione reciproca degli enzimi, molte molecole diventano tossiche solo in combinazione con altre. La variabilità genetica di certi enzimi del fegato rendono poi la tossicità di molti composti diversa da un individuo ad un altro. Tra i compiti della tossicologia vi sono quindi anche quelli di identificare quali enzimi del fegato rendono tossica una determinata molecola, quali sono le sostanze tossiche prodotte, sotto quali condizioni e in quali individui avviene tale trasformazione, e con quali metodi si possono contrastare le intossicazioni stesse. Di notevole importanza, nello studio del metabolismo dei tossici, è conoscere il meccanismo con il quale agiscono i componenti della famiglia del citocromo P-450, fondamentali nel processo di detossificazione all'interno dell'organismo.
L'entità del danno biologico procurato da una sostanza tossica è legata a diverse variabili, tra le principali si citano:
natura chimica del tossico;
modalità di assorbimento (orale, transdermico, inalatorio, ecc.);
concentrazione;
entità e durata dell'esposizione;
stato di salute generale (buono, malattia preesistente, gravidanza, ecc.)
fattori genetici individuali.
Gli effetti clinici tossicologici possono manifestarsi in modo acuto, subacuto, subcronico o cronico.
La tossicologia tende a studiare in maniera distinta gli effetti tossici in base a due maggiori categorie: tossicità organo-mirata e tossicità non organo-mirata.