lunedì 28 aprile 2008

Le protesi chirurgia plastica

Fin dai primordi della chirurgia plastica e della medicina in genere, si è sentita la necessità di sopperire alla mancanza o perdita di parti anatomiche con l'applicazione di materiale estraneo. Vennero sperimentati vari tipi di materiale, ma la maggior parte di essi furono abbandonati per gli inconvenienti che determinavano.

Le caratteristiche che dovrebbe avere questo materiale protesico detto alloplastico sono:

• essere biologicamente inerte, cioè non creare disturbi nell'organismo ricevente,
• non provocare reazioni allergiche,
• non avere potere oncogeno,
• essere sterile o facilmente sterilizzabile,
• avere forma e resistenza adeguate alla zona di applicazione e all'uso richiesto.

Tra i materiali che, totalmente o in parte, rispondono a questi requisiti e sono quindi usati si trovano:

• la paraffina, oggi abbandonata per le reazioni infiammatorie e pseudotumorali che determinava;
• i metalli, specie tantalio e vitallio utilizzati in ortopedia per viti, chiodi e placche;
• i materiali polivinilici tipo poliuretano, che però qualche volta possono dare abnormi reazioni tissutali;
• le resine acriliche;
• il nylon , molto ben tollerato;
• i siliconi; il loro impiego in chirurgia"plastica è molto diffuso anche per le possibilità di ottenere materiali a diversa consistenza.

Le applicazioni sono le più varie: dalle plastiche facciali a quelle mammarie, che si avvalgono o di spugne o di un involucro contenente gel di silicone. I risultati sono buoni e la protesi ha la consistenza caratteristica della mammella normale.

Per ovviare a grossi difetti fisici o a mutilazioni si usano materiali di foggia adatta chiamati epitesi. Essi devono avere le caratteristiche morfologiche ed estetiche, quindi di consistenza, colore, aspetto, identiche o il più simile possibile a quelle della parte mancante; inoltre devono essere duraturi e non subire variazioni, ad esempio di colore, con il passare del tempo.

trapianti peduncolati - trapianto cutaneo

Si parla invece di trapianti peduncolati (generalmente di cute, di mucosa, muscolo, tendine, ecc) quando un lembo di tessuto viene trasferito nello stesso individuo, a riparare una perdita di sostanza, rimanendo connesso, almeno per un certo periodo, alla regione che lo ha fornito tramite il suo peduncolo nutritizio.
A differenza dell'innesto, il trapianto cutaneo consiste nello staccare solo in parte la massa dei tessuti dalla sede propria alla quale rimane connessa con uno o più peduncoli vascolari.
È indicato quando si deve riparare una perdita di sostanza in una zona con scarsa irrorazione ematica. Numerosi sono i tipi di trapianto peduncolato; di maggior interesse e di più frequente impiego in chirurgia plastica sono quelli di pelle.

Essi si distinguono in:
lembi di vicinanza, con i quali s'intendono quei trapianti prelevati da regioni vicine a quella da riparare;

lembi di distanza, che comprendono tutti i trapianti peduncolati scolpiti in una regione distante da quella da riparare.

Questi lembi presentano numerosi vantaggi che permettono di trasferire cute sana e di sicura vitalità in zone compromesse o danneggiate da insulti più diversi.

1967 l primo trapianto di cuore

Fino al 1968 la chirurgia dei trapianti viene considerata in fase pionieristica; dopo quell'anno c'è un vero e proprio «boom» dei trapianti d'organo, mentre viene delineandosi e consolidandosi fin dall'inizio un'impostazione interdisciplinare della loro preparazione ed esecuzione, nel senso che immunologo, specialista d'organo (il nefrólogo nel caso del rene, il cardiologo nel caso del cuore), chirurgo e anestesista collaborano strettamente, nello studio prima e poi nell'assistenza del paziente.

La realtà dei trapianti d'organo entrò in maniera spettacolare nelle case di tutti dopo che nella notte fra il due e il tre dicembre 1967 il cardiochirurgo Christian Barnard eseguì a Città del Capo il primo trapianto di cuore. Accanto alla enorme portata emotiva dell'evento, colpi fin dall'inizio l'opinione pubblica quanto vi era di azzardato e di aleatorio in quell'atto chirurgico: la sfida non era di ordine tecnico, era di ordine biologico. Per quanto il chirurgo e i suoi collaboratori si impegnino fin dall'inizio, per la buona riuscita del trapianto, a individuare l'organo dalle caratteristiche biologiche più compatibili con l'organismo del ricevente, il loro sforzo durante il decorso post-operatorio e durante tutto il dopo intervento (quindi anche quando il trapiantato è rientrato a casa e ha ripreso la sua vita) consiste nel contrastare la reazione di rigetto.

Trapianti d'organo

II primo trapianto che fu tentato nel corso della storia dell'uomo fu un autotrapianto, ossia l'innesto di un lembo di pelle da un punto a un altro del corpo dello stesso paziente. Solo nel corso di questo secolo, quando il progresso delle tecniche chirurgiche rese possibile il trasferimento di un organo nella sua globalità da un individuo all'altro, ci si rese conto che la riuscita tecnica dell'intervento non bastava ad assicurare il successo del trapianto: tutt'oggi la chirurgia dei trapianti non si trova alle prese con problemi tecnici, che appaiono in gran parte risolti, bensì con problemi biologici e più propriamente immunologici perché si scoprì, quando ancora questo tipo di chirurgia era del tutto sperimentale, che l'organismo ricevente si opponeva alla presenza di un organo proveniente da un altro organismo.

Il problema dei trapianti era allora e rimane oggi il problema della reazione di rigetto. Per la storia il primo trapianto d'organo fu un trapianto sperimentale di rene su animale di laboratorio eseguito nel 1902 da Uhlman. Sotto il profilo tecnico il più grande contributo venne dato a questa chirurgia quale si può benissimo vivere alla condizione di seguire appropriate regole igieniche e comportamentali.

giovedì 24 aprile 2008

Cure Termali

Nella storia dell'uomo, fino dalle sue origini, l'acqua si identifica con la stessa forza generatrice del mondo, strumento primo creato dall'essere divino da cui provengono tutte le cose ed ogni creatura. Nella cosmogonia biblica, in particolare, più volte si insiste nel raffigurare l'acqua come elemento che era nel principio come primum mo-vens dell'intero creato. Nella Genesi è scritto: «Et spiritus Dei ferebatur super aquas».

Anche nelle cosmogonie indiana e assiro-babilonese domina il principio di acqua elemento primogenito, come pure in quelle nord europee, nella germanica e nella giapponese. Accanto all'immagine generatrice, ancor più diffuso e sentito nell'antichità è il concetto di purezza, di fertilità e soprattutto di sacralità dell'acqua. Nella teogonia egiziana Iside rappresentava l'umidità ed il Nilo era venerato come una divinità. Per i Greci, per i popoli indoeuropei, per i Finnici, per le popolazioni degli Urali, le sorgenti, i fiumi ed i laghi erano sacri, oggetto di culto e di sacrifici propiziatori.

Specialmente le sorgenti erano tenute in grande considerazione per l'aspetto misterioso del loro scaturire dalle viscere della terra, considerate perciò apportatrici di qualcosa di divino proveniente dagli dei inferi. In particolar modo alle sorgenti di acque calde venivano attribuite proprietà terapeutiche di natura divina.

martedì 22 aprile 2008

Massificazione psicologia sociale

La psicologia sociale ha approfondito il comportamento collettivo che si registra nella massa umana, nella folla. Sono stati sviluppati concetti psicanalitici secondo i quali la massa evidenzia situazioni inconsce sul piano collettivo.

Sono state sottolineate le conseguenze della collettivazione e della massificazione (e l'uomo-massa è considerato elemento di una struttura organizzata, burocratica, che limita e subordina il suo campo d'azione alla direzione altrui, «eterodirezione» di D. Reisman). Su questo piano si sono analizzati i rapporti tra la massa ed il capo o i capi che la dirigono. Secondo Freud, il capo è il modello verso cui gli altri proiettano il loro desiderio inconscio di sicurezza e di potenza e nel quale tendono ad identificarsi.

E altri studiosi analizzano i rapporti del capo (carismatico, intellettuale, burocratico) con la massa, l'essenza della leadership, la «sindrome autoritaria» (Th. Adorno). Si inseriscono in questo contesto le ricerche sulla comunicazione di massa, sugli effetti delle comunicazioni radiofoniche e televisive; del cinema, dei rotocalchi; specie in rapporto alla propaganda ed alla reclame si descrivono gli effetti di persuasione, che si sviluppano nell'ambito commerciale, politico, nelle condizioni di guerra.

Si è notato che la presentazione unilaterale di un argomento ha effetto positivo sui soggetti meno istruiti, mentre la presentazione oggettiva, in cui si espongono anche gli argomenti della controparte, ha maggiore efficacia su individui più istruiti (ricerche sulle forze armate U.S.A.).
Sono stati fatti anche nuovi studi sull'opinione pubblica, sull'analisi delle opinioni circolanti nella massa (inchieste mediante questionari), sulle stereotipie, sui pregiudizi.