sabato 29 novembre 2008

Claustrofobia

Claustrofobia, termine psichiatrico che descrive il timore di certi malati per i luoghi chiusi. Si tratta di una paura di origine nevrotica, talora molto intensa e drammatica, accompagnata da un penoso vissuto d'ansia e da reazioni emozionali dell'organismo (dovute a scariche di noradrenalina, che eccita il sistema nervoso vegetativo ortosimpatico, con conseguente aumento della frequenza del respiro e dei battiti del cuore, della sudorazione, del bisogno di urinare e della tensione dei muscoli, fino al tremore), caratterizzata dalla piena consapevolezza che si tratta di un timore ingiustificato. Tuttavia tale consapevolezza non è sufficiente per neutralizzare la paura, cosicché il claustrofobico rifugge dal chiuso, non va in tram o in pullman, rifiuta l'ascensore e fa le scale a piedi (preferendo lo sforzo e la fatica fisica all'angoscia determinata dall'ingresso nella cabina).

La paura porta alla rinuncia dell'attività che dovrebbe svolgersi nel luogo chiuso, anche se ciò comporta un aumento del pericolo reale. Il claustrofobico non si ripara da un acquazzone entrando in una cabina telefonica, ma si bagna, con il rischio probabile di una conseguente malattia delle vie respiratorie. L'interpretazione data dalla psicanalisi del fenomeno psichiatrico ora descritto è che il claustrofobico teme il luogo chiuso (e piccolo), poiché in esso potrebbe cedere al desiderio dell'autoerotismo; egli evoca così il vissuto conflittuale che si accompagna alla esperienza angosciosa e censurata del complesso di castrazione. Questo sarebbe la necessaria conseguenza punitiva (nata dalla esperienza infantile) del toccarsi gli organi genitali.